Mattarella respinge Savona, Di Maio chiede l’impeachment, Salvini rompe, non parte Cottarelli, forse si torna a Conte… Cronache di una crisi di governo al cardiopalma

Mattarella respinge Savona, Di Maio chiede l’impeachment, Salvini rompe, non parte Cottarelli, forse si torna a Conte… Cronache di una crisi di governo al cardiopalma

31 Maggio 2018 0 Di Ettore Maria Colombo

Pubblico qui di seguito gli articoli scritti per Quotidiano Nazionale sulla crisi di governo in atto nel Paese e usciti negli ultimi cinque giorni, dal 28 maggio al 31 maggio 2018. 

di maio

Il leader dei 5Stelle Luigi Di Maio

1. Savona ridimensionato o via dal governo. L’M5S punta su Coccia all’Economia. 
Ettore Maria Colombo – ROMA
La carta che vince, il jolly da pescare nel mazzo, come sostituto di Paolo Savona nel delicatissimo ruolo di ministro dell’Economia di un risorto governo giallo-verde, potrebbe essere Pierluigi Ciocca (che però nella giornata di oggi smentirà tutto, ndr.). Una vita  passata in Bankitalia, nella short list dei possibili successori di Fazio (2005) prima e di Draghi (2011) poi, Ciocca era nel team che lavorò, nel 1996, al tasso di cambio lira-euro e accompagnò l’allora ministro del Tesoro, Ciampi, a Bruxelles, dove la delegazione italiana riuscì a strappare quota 990 lire per marco come base di calcolo per l’euro. Un vero successo, ai tempi, ma un nome non facile da digerire a Salvini e i suoi. Per la Lega sarebbe un paradosso accettare come ministro-chiave un economista che scriveva, ancora di recente, “l’uscita dall’Euro va respinta senza se e senza ma”. Dalla Lega fanno sapere che “Salvini ci sta pensando” (sic). L’ipotesi sarebbe, in alternativa, di spacchettare il ministero dell’Economia, con Bilancio a Ciocca e Finanze a Savona. Del resto, Ciocca è l’asso di denari di Di Maio, ma chi dà la carte è Salvini, e in lui, dicono i pentastellati come gli azzurri, “cova una sola tentazione: andare presto al voto”.
Ieri, tanto per cambiare, un’altra giornata sulle montagne russe per la crisi politica. Carlo Cottarelli va al Quirinale di prima mattina ma ne esce muto. Il Colle “attende sviluppi”. In buona sostanza, il governo tecnico nascerà (e sarà, probabilmente, destinato a morire subito) solo se non “matureranno le condizioni” per far nascere un governo politico. Speranza che paradossalmente si continua ad auspicare al Colle, dove però tutto è pronto per portare il Paese alle urne anticipate: il 29 luglio o il 5 agosto o, al massimo, in una domenica di settembre (ma solo se passasse, in questo caso, una mozione parlamentare con le firme di tutti i partiti per allungare di un po’ i tempi, facendo scavallare l’estate a una legislatura morta). E le voci su una “fiducia tecnica” al governo Cottarelli, attraverso l’astensione o l’uscita dall’aula di tutti gli altri gruppi, come avvenne per il III governo Andreotti (1976-1979) detto della non sfiducia o delle astensioni (vedi al Il Dizionario della crisi di governo. Episodi, termini e parole utili, aneddoti e riferimenti storici per spiegare la crisi di governo attuale alla luce dei precedenti costituzionali e della storia repubblicana ), si scontrano su un muro, contro fa notare Roberto Giachetti, esperto delle tecniche di aula parlamentare del Pd: “Inutile astenersi, per il centrodestra, e anche votare a favore da parte nostra, perché se i 5 Stelle votano contro i no batterebbero comunque i sì e Cottarelli andrebbe sotto”. Intanto, i 5 Stelle si riuniscono negli uffici della Camera mentre i leghisti, sguinzagliati in tutta Italia per la campagna elettorale, si godono la scena di (presunti) alleati allo sbando. Salvini e Di Maio fanno a braccio di ferro via agenzie, con il leader leghista fermo su Savona e Di Maio pronto a cedere su tutto. Infatti, a metà pomeriggio, il leader pentastellato sale al Quirinale, offre mille scuse a Mattarella e gli chiede “un aiutino” per risolvere la crisi. Il capo dello Stato, dotato di pazienza infinita e del senso cristiano del perdone, glielo concede e fa rinfoderare a Cottarelli una lista di ministri già pronta.
Laura Castelli, per conto di Di Maio, chiede all’ex ‘papabile’ Paolo Savona un formale (e brutale) passo indietro, Di Maio formula il suo invito pubblico a Salvini (“Confermiamo la squadra di governo ma con Savona altrove”), ma il leader leghista nicchia per ore. I suoi colonnelli, da Giorgetti a Fontana, si mostrano scettici e solo in serata Salvini riapre la partita: “Spostare Savona? Lo chiederemo a lui. L’idea di Di Maio è strana, ma io in ogni caso non ho mai chiuso la porta, lavoro per dare un governo al Paese”. Ambienti leghisti fanno trapelare che Salvini, alla fine, dirà di no al compromesso, altri che cederà. La verità è che nell’angolo c’è solo l’M5S: ha paura del voto subito, Di Maio è contestato all’interno, da Fico fino a Grillo, e ha perso credibilità. Salvini, invece, è win-win: se torna al governo giallo-verde lo fa alle sue condizioni, se si vota vince, se il governo dura qualche mese gli riesce di cambiare la legge elettorale e mangiarsi il centrodestra.
Nb: L’articolo è stato pubblicato il 31 maggio a pagina 5 del Quotidiano Nazionale. 


salvini

Il leader della Lega, Matteo Salvini

2. Di Maio rinuncia all’impeachment e apre al Colle: ipotesi Salvini premier.
Ettore Maria Colombo – ROMA
LA GIORNATA più folle nella crisi più folle (e drammatica) della storia d’Italia è stata quella di ieri. Al Senato, che finalmente si riunisce, si dovrebbe discutere di Alitalia, ma si parla di crisi di governo. Danilo Toninelli (M5S) attacca Mattarella e la presidente Alberti Casellati lo stoppa subito. Andrea Marcucci (Pd) sfida Lega e M5S: «Andiamo a votare a fine luglio». Gianmarco Centinaio (Lega) raccoglie la sfida: «Andiamoci al voto subito così fate la fine dei panda». Si diffonde la psicosi del voto il 29 luglio, data che già il Colle, quando Di Maio e Salvini non riuscivano a mettersi d’accordo, aveva fatto ventilare. Panico. Nessuno è pronto, tantomeno Lega e 5Stelle che si vedono e si mettono d’accordo perché vogliono far partire il lavoro delle commissioni e cambiare la legge elettorale. Insomma, prendono tempo, altro che «vogliamo votare a luglio».  Al Colle devono aver riso di gusto davanti all’ennesima marcia indietro. Certo è che quando il premier incaricato, Carlo Cottarelli, sale al Colle senza sciogliere la riserva, come invece era previsto, ed esce alla chetichella dal Quirinale, si capisce che si ribalta tutto il film.
LE VOCI, a Montecitorio come a palazzo Madama, impazzano: si passa dai conti, calendario alla mano, per il voto il 29 luglio (si può fare) alla voce che prenderà quota a tarda sera, il ritorno del governo giallo-verde. Di certo, molti nomi papabili come ministri sono indisponibili a far parte di un governo che nasce morto, ma lo stesso Cottarelli sarebbe indisponibile alla figuraccia, e il Colle dietro di lui perché, quello di Cottarelli, è un governo del Presidente. A quel punto, la ‘pazza idea’ del Pd, che annuncia di non votare la fiducia ma di astenersi e sfida gli altri partiti a votare a luglio (il regista dell’impeccabile operazione è Lorenzo Guerini, su indicazione di Matteo Renzi) fa l’effetto della classica pietra gettata in uno stagno che ribolle. La Lega fa sapere al Pd che «è pronta» a votare a fine luglio, ma non con Minniti al Quirinale e prova cercare intese sul voto a settembre. Il Pd risponde picche. Cottarelli non se la sente di guidare un governo per un mese. Le voci di un nuovo governo giallo-verde (col nome di Savona depennato dalla lista, probabilmente sostituito da Giorgetti) o, ipotesi più difficile, di un governo di minoranza del centrodestra, in entrambi i casi con Salvini premier, si fanno insistenti.  A sera, l’ennesimo colpo di scena. Di Maio, in un comizio, toglie di mezzo l’annunciato impeachment a Mattarella, con la scusa che «la Lega è indisponibile» (lo è sempre stata) e arriva a dire «sono pronto a collaborare con il Colle».
INTANTO, Salvini chiede di tornare a votare al più presto («O si parte o si torna al voto»), ma non ad agosto e neppure a fine luglio per ‘rispettare’ le ferie degli italiani (poveri). E così, a notte, torna in auge la maggioranza giallo-verde che avrebbero concordato Di Maio e Salvini in un vertice a due alla Camera. Con una differenza tra i due: Di Maio è terrorizzato dal calo verticale nei consensi che i sondaggi registrano e teme la fronda interna. Salvini è win-win (sia che faccia il governo sia che si voti presto) e può giocare su due tavoli, per il governo: con l’M5S o a capo di un centrodestra leghizzato. Giorgia Meloni si offre: «Pronta a rafforzare un governo di centrodestra l’asse M5S-Lega».
NB: L’articolo è pubblicato sul Quotidiano Nazionale a pagina 3 il 30 maggio 2018. 


cottarelli

Il premier ‘non’ incaricato Carlo Cottarelli

3. Tocca a Cottarelli, non ha i numeri, e dice: “Senza fiducia si vota a settembre”. 
Ettore Maria Colombo – ROMA
E VA BENE che l’ex commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, una vita passata tra Bankitalia, Fmi e altrove, è uno noto per andare per le spicce, ma ieri ha davvero superato se stesso in una giornata vissuta al cardiopalma. Arriva in treno da Milano, zainetto in spalla, rituale assalto dei cronisti alla stazione Termini, ma per loro solo quattro parole: «Sto andando al Quirinale». Il riserbo dell’uomo è proverbiale. Camicia azzurra e abito scuro, sale a bordo di un taxi, cui lascerà una lauta mancia, e va al Colle. Il colloquio con Mattarella, che Cottarelli peraltro già conosce bene, dura un’ora e mezza. Subito dopo, senza tradire emozioni, il premier – per ora ‘non’ incaricato o, meglio, non ancora, spiega alla stampa (ormai stremata, dopo 86 giorni di crisi) le sue intenzioni: governo in tempi brevissimi, gestione «prudente» dei conti in cima alla lista, più due avvertenze fondamentali: «Se avrò la fiducia, governeremo fino alla chiusura della legge di Bilancio (cioè fino a dicembre 2018, ndr.), altrimenti si andrà al voto subito (luglio)».
SUBITO DOPO, le visite istituzionali di rito: Cottarelli vede il presidente della Camera, Fico, e quello del Senato, Casellati. Infine, Cottarelli si chiude nella sala dei Busti, la stessa che era stata messa a disposizione di Giuseppe Conte, per stilare la squadra di governo (tutti tecnici, come lui, e nessuno di loro si candiderà alle prossime elezioni, la promessa in premessa) e per scrivere il discorso con cui chiederà la fiducia alle Camere. Oggi scioglierà la riserva di prassi (per capire cos’è e come funzionano tutti i meccanismi vedi: Il Dizionario della crisi di governo. Episodi, termini e parole utili, aneddoti e riferimenti storici per spiegare la crisi di governo attuale alla luce dei precedenti costituzionali e della storia repubblicana ) poi il giuramento e il voto di fiducia durante questa settimana, ma sia il giuramento che il voto potrebbero slittare anche la prossima.  Tutti i partiti, o quasi (solo Pd, Autonomie-Svp e Misto diranno sì) hanno già detto di no. Non a caso, Cottarelli neppure le fa le consultazioni con i partiti: sarebbe solo tempo perso. E se è vero che, a differenza di quanto scrivono tutti, che per il voto di fiducia non serve la maggioranza assoluta (316 alla Camera, 161 al Senato) ma soltanto che i sì battano i no, la somma dei no, al momento, è schiacciante. Sono, sulla carta, 498 alla Camera (M5S, Lega, FI, FdI), 246 al Senato, sommando gli stessi partiti della Camera. Nella storia della Repubblica, specie la Prima, governi ‘di minoranza’ e/o governi ‘balneari’ ce ne sono stati parecchi, ma il governo Cottarelli batterebbe tutti i record, da quello del più breve e quello del meno votato.
Un altro paio di maniche, invece, è quando si andrà al voto. La XVIII legislatura sarà la più breve della storia repubblicana, battendo anche in questo caso ogni record (le due più brevi – nel 1992-1994 e nel 2006-2008 – appartengono entrambe alla II Repubblica e sono durate almeno 2 anni), ma non è affatto detto che si voterà prestissimo, con la campagna elettorale fatta in spiaggia. Innanzitutto, rispetto ai tempi tecnici che servono per andare a votare (70 giorni è il massimo, previsto in Costituzione, 45 giorni è il minimo, stabilito per legge), da quando votano anche gli italiani all’estero, cioè dal 2001, i giorni minimi sono diventati 60. Poi, per raccogliere le firme (solo i partiti presenti con gruppi nell’attuale Parlamento ne sono esenti) servono almeno 35 giorni prima del voto ed è impensabile che siano ad agosto. Infine, c’è a tema la legge elettorale. Ieri, Salvini e Di Maio si sono incontrati formalmente per decidere di far partire le commissioni parlamentari. Il rischio è che si prendano tutto: di solito vanno divise tra chi è maggioranza e chi è opposizione, ma in questo caso potremmo assistere all’unicum di due opposizioni (al governo Cottarelli) che si prendono le presidenze a colpi di votazioni a maggioranza con il risultato di una ‘dittatura’ del Parlamento sul governo. Ma in realtà Di Maio e Salvini si sono visti per decidere di cambiare il Rosatellum. L’ipotesi è di inserire un premio di maggioranza, ma alla lista e non alla coalizione, come vorrebbe, invece, FI. Così, Berlusconi sarebbe costretto a fare il «listone unico» con Salvini, venendo risucchiato dalla Lega, i 5 Stelle confermerebbero il loro «splendido isolamento». Il patto: governare insieme, Lega e M5S, anche nella prossima legislatura.
NB: L’articolo è stato pubblicato il 29 maggio a pagina 2 del Quotidiano Nazionale. 


savona

L’economista ‘no Euro’ Paolo Savona

4. Il Quirinale stoppa Savona all’Economia e il governo Conte salta. Crisi e scontro. 
Ettore Maria Colombo – ROMA
VIA IL GOVERNO Conte, che non nasce e forse non nascerà mai, dopo una lunga, infinita, domenica, con il premier incaricato che rimette mestamente il suo mandato, pur dopo aver sciolto, inutilmente, la sua riserva, e che poi scompare. E via il governo ‘del cambiamento’ Lega-M5S, imbufaliti e rabbiosi per il ‘veto’ messo a loro dire dal Colle su Savona, che ora si scagliano contro il Quirinale e chiedono elezioni anticipate, ma soprattutto ne criticano in modo forsennato l’operando arrivando a chiederne la messa in stato d’accusa, volgarmente detta impeachment (per sapere cos’è consulta il Il Dizionario della crisi di governo. Episodi, termini e parole utili, aneddoti e riferimenti storici per spiegare la crisi di governo attuale alla luce dei precedenti costituzionali e della storia repubblicana ). Mattarella non è più solo, però, come lo è stato, a lungo, in queste ultime settimane, quando nessuno ha parlato in sua difesa. Anche se solo ora si levano le voci dei partiti ‘europeisti’, Pd e FI, di Renzi e Berlusconi, a difesa del Colle come pure si leva, con una nota durissima, la voce dei vescovi della Cei. Ma Mattarella, nonostante gli attestati di stima e solidarietà, sa che la sua scelta gli porterà dolori e guai.
«NON L’HO fatto a cuore leggero», dice, ma tenendo a cuore «i risparmi degli italiani». Il discorso che il capo dello Stato pronuncia all’ora dei tg della sera è drammatico, storico. La voce è rotta dall’emozione, il tono è teso, accorato. E non appena Mattarella ripiega i fogli di quel discorso, la Meloni a nome di Fratelli d’Italia e fonti di livello di M5S chiedono di aprire una procedura di impeachment del Presidente. Eppure Mattarella ha ricordato, con puntiglio, nel suo intervento pubblico, tutti gli atti con cui ha agevolato la nascita del governo: ha accettato che Lega e M5S prendessero tempo, ha accettato che consultassero le proprie basi, in modo irrituale, ha accettato che nominassero un premier ‘non parlamentare’ per un governo politico, ha detto sì a tutti i ministri da loro proposti tranne uno (Savona), ma proponendo una valida alternativa politica (Giorgetti).
«Ho agito nel rispetto delle regole della Costituzione – spiega Mattarella, quasi prevedendo le richieste di impeachment – ma sui ministri il Quirinale non può subire imposizioni» perché, continua, «io devo firmare i decreti per la nomina dei ministri», assumendone la responsabilità, «un ruolo di garanzia che non può subire imposizioni». Poi, la spiegazione del suo no a Savona: non potevo promuovere «un sostenitore della fuoriuscita dell’Italia dall’Euro». Ma se Mattarella difende la Costituzione e il risparmio degli italiani, sa anche che la campagna dei suoi nuovi e implacabili avversari sarà durissima. Ecco perché dal Colle si spiega che «non vi è stato alcun veto a un governo Lega-M5S né verso un singolo ministro, ma semmai un veto di Salvini e Di Maio verso qualsiasi ipotesi alternativa», tra cui quella, appunto, di mettere all’Economia un uomo di massima fiducia di Salvini e un nome tutto politico come Giorgetti.
IL QUIRINALE, dunque, prova a capovolgere la narrazione dei due leader populisti che ha ricevuto entrambi, ieri pomeriggio, al Colle per due faccia a faccia pesanti e polemici (da parte loro) e che, al di là delle forme cortesi, si sono mostrati rigidi, molto rigidi, tanto da far sospettare che almeno uno dei due (Salvini) avesse già un piano che puntava alla rottura.  Il Colle – rinfrancato dai tanti attestati di stima giunti ai centralini del Quirinale – sa che le bordate di Salvini e Di Maio saliranno di tono. Ed ecco l’ultima mossa, rapida e imprevista, che ferisce come il coltello: la convocazione per stamane, al Quirinale, dell’economista ed ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli che riceverà l’incarico di formare un governo che, più che del Presidente, sarà «di emergenza nazionale». A quel punto spetterà al Parlamento – si spiega dal Colle – decidere se deputati e senatori vogliono andare al voto nel giro di pochi mesi, subito dopo l’estate, bocciando il governo Cottarelli, o fargli varare la legge di Stabilità ed aspettare il 2019.
NB: L’articolo è stato pubblicato sul Quotidiano Nazionale il 28 maggio a pagina 2-3.