Ingorgo di decreti in Parlamento. Riforma del Senato a rischio rinvio. Caos scadenze prima della pausa estiva, priorità alle riforme

18 Luglio 2014 0 Di Ettore Maria Colombo

ROMA – “Ingorgo istituzionale” si dice, in gergo. Traduzione: la conferenza dei capigruppo di palazzo Madama ha sì calendarizzato, premendo l’acceleratore, l’inizio delle votazioni su riforma del Senato e titolo V per lunedì 21 luglio, ma anche se “nessuno – assicura il capogruppo democrat, Luigi Zanda – ha pronunziato le parole contingentamento, ghigliottina e tagliola”, rimane il punto dolente

Il Senato deve convertire e alla svelta più decreti (dl competitività, dl cultura), senza parlare di quelli già quasi in arrivo dalla Camera (decreto PA e decreto carceri). Il che vuol dire che la discussione e i conseguenti voti che si terranno, in un’Aula di palazzo Madama ormai sempre più simile a una corrida, sulla riforma del Senato dovranno, a un certo punto, fermarsi per ‘far passare’ tali decreti. E anche se la mole di emendamenti venisse ridotta dagli attuali 7831 a meno di duemila, tra repliche del governo e dei relatori, discussione e voti su emendamenti e testo, è quasi impossibile che i tempi previsti dalla Boschi (“Approvazione del ddl il 24 luglio e seconda lettura alla Camera per il 15 agosto”) siano rispettati.

Vero è che, il governo, un’arma neppure tanto segreta ce l’ha, in mano: la questione di fiducia. Non sul ddl Boschi, naturalmente, ma sui decreti in scadenza sì. Renzi la userà di certo, dicono tutti, ma le opposizioni (M5S, Lega, Sel e perfino buona parte di FI) sono subito insorte, sia in conferenza dei capigruppo che fuori. Temono che l’arma ‘contingentamento’ dei tempi e ‘ghigliottina’ sugli emendamenti venga, prima o poi, riproposto dal governo. Morale: da lunedì a giovedì si discuterà e si voterà sulle riforme, con tanto di sedute notturne, da venerdì sotto col dl competività.

ll guaio è anche che i senatori sono stanchi, sfibrati e nervosi. Nel corso del dibattito sul ddl Boschi chiunque parli ‘contro’ il testo del governo (il ‘dissidente’ del Pd Tocci o di FI Minzolini) riceve applausi scroscianti mentre per i pochi interventi a favore è il gelo. Minzolini, ieri in ‘trasferta’ alla Camera, disegna scenari: “il punto non è il processo Ruby (oggi sentenza, ndr.) e le sue conseguenze dentro casa nostra, ma Renzi che, dopo aver fallito sull’economia, ci porterà a votare o rischia di perdere il referendum sul Senato”.

Anche dalla Lega sale il malumore con Calderoli che s’inalbera per il rischio ‘tagliola’ sui tempi e il leader Salvini che avverte: “Se non c’è il referendum abrogativo in Costituzione diciamo no”. E proprio sul tema del referendum (ma propositivo e un numero minore di firme da raggiungere) si sta esercitando la minoranza Pd che riesce, via Mineo, a litigare coi grillini tra reciproche accuse di ostruzionismo. Renzi, in fondo, in quello confida: sulle divisioni in seno all’opposizione.

Un senatore siciliano di Gal, Giovanni Mauro, berlusconiano doc, confida a un amico: “Il disagio dentro FI e Gal è forte, sono almeno 30, ma un pezzo di Ncd ‘laico’ e dei nostri sta per far nascere un gruppo di ‘Responsabili’ pro Renzi”. E la fronda dei dissidenti azzurri non si ferma”. Sempre Minzolini, infatti, annuncia: “Siamo almeno 35, teniamo botta in almeno 25 e intendiamo dare battaglia”.


NB. Questo articolo e’ stato pubblicato sulle pagine di politica del Quotidiano Nazionale il 18 luglio 2014