Scissione Pd. Vecchia guardia spaccata, ma c’è chi punta su Landini leader. Bersaniani cauti. Fassina e Civati puntano al Partito del Lavoro

27 Ottobre 2014 0 Di Ettore Maria Colombo
Matteo Renzi parla davanti alla Direzione del Pd riunita per discutere sull'art. 18

Matteo Renzi parla davanti alla Direzione del Pd riunita per discutere sull’art. 18

ROMA – Fare la scissione e dare vita a un nuovo partito della sinistra, quello che Renzi chiama, con disprezzo, la “sinistra arcobaleno che ha sempre perso”, o restare nel Pd, dare battaglia e provare a riprendersi, in futuro, il partito, quel partito “di reduci e nostalgici del 25%”, come li bolla sempre Renzi? La minoranza interna del Pd è davanti al ‘che fare’ di leniniana memoria.
Il pezzo più autenticamente bersaniano (e cuperliano) della minoranza Pd non coltiva sogni scissionisti. Anzi, ne ha paura: “non andiamo con Nichi. Faremmo la fine di Mussi e Angius che poi annegarono con Bertinotti”, spiega una loro fonte autorevole. Tale area vuole dar battaglia ‘da dentro’. Lo spiega, in chiaro, il bersaniano Alfredo D’Attorre: “Renzi vuole la rottura? Se lo tolga dalla testa. Noi rimarremo nel Pd per restituirgli la sua vocazione di grande partito della sinistra”. Appuntamento al (prossimo) congresso quando, dice sempre D’Attorre, “il Pd continuerà ad esserci”.

L'unico capo-area di un dissenso dentro il Pd, l'ex Rottamatore Pippo Civati.

L’unico capo-area di un dissenso dentro il Pd, l’ex Rottamatore Pippo Civati.

Pippo Civati e Stefano Fassina puntano, invece, direttamente alla scissione rinfrancati dall’aria fresca e dal ‘supporto’ dei 5 milioni di iscritti alla Cgil. I conciliaboli tra Nicola Fratoianni, nuovo vero numero due di Vendola, Ciccio Ferrara (responsabile organizzativo di Sel) e lo stesso Civati ormai si sprecano, dentro la galleria fumatori di palazzo Montecitorio. Il loro sogno è avere, per candidato premier, il leader Fiom Maurizio Landini e creare un nuovo partito. Già pronto anche il nome: ‘Partito del Lavoro’. Landini, per ora, non ne vuole sapere (“Il mio mestiere è il sindacalista, chi mette in giro queste voci indebolisce le lotte della Fiom”, ripete ai suoi), ma se davvero si votasse, tutto cambierebbe. Martedì scorso, a ‘Ballarò’, la sondaggista Ghisleri ha ‘testato’ proprio Landini: ben il 21%, per lui.

Il presidente di SEL, Nichi Vendola.

Il presidente di SEL, Nichi Vendola.

Paradossalmente, mentre Sel frena – timorosa di un ‘niet’ di Landini – Civati, convinto che Renzi porterà il Paese a elezioni anticipate a breve (a marzo, con le regionali), vuole accelerare il processo di rottura a sinistra. In un’intervista a Pagina 99 parla addirittura di “bisogno di socialismo”, di “disagio sempre più crescente nel Pd” e di una “scissione ormai vicina”. Sulle posizioni di Civati è finito, ormai, anche Stefano Fassina, ma da solo. L’ex braccio destro di Bersani, dopo aver sfilato al corteo della Cgil, ieri ha pronunciato, con l’Huffington Post, anche lui la parola ‘scissione’: “Una scissione molecolare è già in atto. Al corteo abbiamo incontrato molte persone che ci dicono che hanno lasciato il Pd”.
E, sul Jobs Act che ha portato la Cgil in piazza sabato e, presto, a indire uno sciopero generale, Fassina dice: “Senza correzioni significative non voterò il Jobs Act”. Insomma, il duo Civati-Fassina, con il ‘no’ al Jobs Act e un altro ‘no’ (magari un astensione) alla Legge di Stabilità, indicano già il superamento di quelle colonne d’Ercole che li trattengono ancora nel Pd. Del resto, Renzi non è disposto ad accettare di nuovo dei contrari, sui voti di fiducia.
NB. Questo articolo è stato pubblicato a pagina due del Quotidiano Nazionale (http://www.quotidiano.net) il 27 ottobre 2014.