Elezioni presidenziali/3. Gronchi o della ‘questione socialista’ (1955)

27 Dicembre 2014 Off Di Ettore Maria Colombo

Riprendiamo l’excursus sulle elezioni presidenziali della Repubblica Italiana. Dopo De Nicola (1946) ed Einaudi (1948), è il turno del dc di sinistra Giovanni Gronchi che viene eletto, anche con i voti delle sinistre (è la prima volta), nel 1955. Nascono le esternazioni.

La ‘legge truffa’ e l’esaurirsi della formula del centrismo (1953-55)

Giovanni Gronchi presidente della Repubblica (1955-1962)

Giovanni Gronchi presidente della Repubblica (1955-1962)

Dal 1948 al 1955 non è cambiato solo lo scenario internazionale e in parte le condizioni socio-economiche dell’Italia, ancora alle prese con la Ricostruzione e in pre-boom industriale, ma anche nell’agone politico è cambiato molto, se non tutto. A partire dal principale partito italiano, la DC. Nel 1952 il partito di De Gasperi introduce quella che le opposizioni di sinistra bollano come ‘legge truffa’: assicura un premio del 65% alla lista o liste che ottengono 50,1% (sono 380 deputati). Dc e partiti laici minori, dopo una durissima battaglia parlamentare e un ostruzionismo anche violento delle opposizioni, riescono a far approvare la legge. Alle politiche del 1953 si vota così ma il premio non scatta per un pugno di voti (54 mila voti, pari allo 0,2%). Il colpo per la Dc è doppio: ottiene solo 263 seggi alla Camera contro i 305 del 1948 (40% contro il 48%) mentre le sinistre risalgono dal 31% al 36% (22,7% il Pci e 12% il Psi) e le destre (Msi e Pdium: 5,8% e 6,6%) mietono consensi. Dopo Pella e Fanfani, che guidarono temporanei governi monocolore dc, Scelba e Segni formano governi di coalizione con Pli e Psli che pure durano poco. De Gasperi, amareggiato, lascia nello stesso 1953 e si ritira a vita privata. Dal 1954 il nuovo segretario della Dc è Amintore Fanfani, eletto a un congresso, quello di Napoli, che per la Dc è una specie di rifondazione: diventa un partito di massa, ma nascono ufficialmente anche le ‘correnti’. Nella Dc si parla con sempre più insistenza di aprire un dialogo con i socialisti e il leader del Psi, Pietro Nenni, al congresso di Torino (1955) apre per la prima volta a una collaborazione con la Dc. Vaticano, movimenti cattolici, Confindustria, grandi industriali e agrari sono fermamente contrari a ogni collaborazione tra Dc e Psi.

L’elezione di Gronchi o della ‘questione socialista’ (1955)

Arriva la primavera del 1955 ed è tempo di eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Nessuno vuole la riconferma di Einaudi, neppure il presidente uscente (“Sono troppo vecchio”), tranne i liberali. Fanfani, che pensa e lavora in grande, vuole il Quirinale per sé. Dopo qualche pensiero su Adone Zoli, il segretario della Dc Fanfani decide che il candidato ufficiale della Dc deve essere Cesare Merzagora. Sembra il nome perfetto: 57 anni, ministro del Commercio estero con De Gasperi, senatore senza tessera eletto come indipendente nella Dc, economista di tendenze liberali, da presidente del Senato, quale è stato, ha difeso le prerogative parlamentari gridando “W il Parlamento!” dal suo banco. Anche Scelba, allora capo del governo, vorrebbe Merzagora al Quirinale, ma dentro la Dc il dissenso che covava silenzioso esplode: sia la sinistra dc, raccolta intorno al nome della rivista ‘Cronache sociali’, che la destra di Andreotti e Guido Gonella vogliono ‘dimezzare’ Fanfani e puntano su Giovanni Gronchi, tra i leader più in vista della sinistra diccì e in quel momento presidente della Camera. Nasce la prima congiura di un partito ‘anti-partito’ e non poteva che nascere in seno alla Dc. Gudio Gonella tiene i contatti con Togliatti, Andreotti va da Pertini per convincere i socialisti. La sinistra dossettiana della Dc e il Pci di Togliatti, che nel 1948 era già riuscito a far cadere la candidatura del conte Sforza proprio grazie all’appoggio di Dossetti, iniziano le ‘grandi manovre’ per silurare Merzagora e per promuovere “l’uomo del Parlamento” come amavano definire Gronchi. Soprattutto, Gronchi è l’uomo che si era opposto, nel 1947, all’ingresso dell’Italia nella Nato e alla ‘cortina di ferro’ Usa-Urss. Sulle prime, però, Togliatti preferisce starsene alla finestra e non essere precipitoso scegliendo una candidatura di bandiera, Ferruccio Parri.

Merzagora è pronto a scommettere “una bottiglia di spumante”. Ma la perderebbe

Così, il 28 aprile 1955, quando si apre la seduta plenaria del Parlamento per eleggere il nuovo Capo dello Stato, con le telecamere della neonata RAI che per la prima volta trasmettono l’evento in diretta, arriva il primo colpo di scena: al I scrutino, il candidato ufficiale della Dc, Cesare Merzagora, non supera i 228 suffragi, benché i democristiani presenti e votanti siano 380. Più voti (308) di lui li prende proprio il vecchio leader azionista e presidente del Consiglio del I CNL (1945) Ferruccio Parri, sostenuto, ma solo come nome di bandiera, da Pci e Psi. Einaudi, pur ritiratosi, di voti ne ottiene comunque 120, Gronchi 30. Merzagora vorrebbe desistere, ma Fanfani insiste, sicuro del fatto suo. Si illude persino che, in un secondo momento, anche il Psi e il Pci confluiranno su Merzagora. Il quale ci spera ancora: al repubblicano Pacciardi dice “Non è ancora finita. Vuoi scomettere una bottiglia di spumante che riuscirò? Me lo ha detto anche Gronchi…”.

Al secondo scrutinio, che si tiene nello stesso pomeriggio del 28 aprile, Merzagora scende ancora, a 225 voti, Einaudi a 80, Gronchi balza a 127. Ma il dato più clamoroso sono le 332 schede bianche: socialisti, comunisti, missini, monarchici e democristiani antifanfaniani. Infine, in serata, al terzo scrutinio, Gronchi passa in testa con 281 voti contro i 246 di Merzagora. Le schede bianche, 195, sono pronte a saltare sul carro del vincitore alla quarta tornata.
E’ un trionfo per gli antifanfaniani dc che avevano già deciso di puntare su Gronchi: tra loro c’è, ovviamente, la sinistra dei ‘professorini’ e il raggruppamento di ‘Concentrazione’ (Andreotti, Tognoni, Pella) che però rappresenta la nuova destra del partito. Una coincidenza degli opposti, quella tra destra e sinistra interna, unite solo dall’odio verso Fanfani. Insomma, un vero guazzabuglio.

Dopo una notte ‘movimentata’, è Gronchi a leggere il nome ‘Gronchi’ sulle schede

Segue, e quella notte stessa, una notte da tregenda, con tanto di (sanguinoso) regolamento dei conti interno alla Dc. Scelba, su mandato ddi un gruppo di dissidenti carbonari che va da destra a sinistra e che vuole evitare Gronchi come la peste, va da Gronchi sperando di convincerlo a ritirarsi: “La tua candidatura – gli dice – rischia di apparire come il preludio a una svolta antiamericana e antiatlantica della nostra politica estera”. Gronchi va su tutte le furie: “Ma come, mi avete eletto presidente della Camera, e ora non vado bene come presidente della Repubblica?!”. Fanfani si illude ancora di riuscire a piegare la sinistra dc, ma è notte fonda quando Mariano Rumor telefona a Merzagora per informarlo: la Dc ti ha mollato. La mattina seguente, all’assemblea dei gruppi dc (che si tiene, ironia della sorte, a palazzo Barberini, dove Saragat fece la sua scissione), le opposte faziosi si affrontano a colpi di urla e spintoni. Fanfani, che ha finalmente capito il gioco contro di lui, prova a sondare tutte le altre correnti con alcune soluzioni di riserva (Piccioni e Segni), poi capisce che deve solo amministrare la sconfitta, presentando Gronchi come il candidato di tutta la Dc per cercare di rendere ininfluenti i voti delle sinistre. A quel punto, però, sono Togliatti e Nenni a fare la loro mossa: faranno convergere i loro voti su Gronchi. Il giorno dopo, il 29 aprile, è lui, Gronchi, a leggere il suo nome sulle schede estraendole una a una dall’urna, sapendo che ormai ce l’ha fatta. L’elezione di Gronchi, infatti, passa a larga maggioranza (658 voti) e Merzagora non prende neppure un voto.

Modalità di elezione di Gronchi (29 aprile 1959, 658 voti, IV scrutinio)

Giovanni Gronchi (Pontedera, 1887 – Roma 1977), tra i fondatori del Partito popolare, già sottosegretario del primo governo Mussolini, dichiaratamente ostile al centrismo degasperiano e alla Nato, nonché fautore dell’apertura ai socialisti, viene eletto presidente della Repubblica Italiana il 29 aprile 1955, al IV scrutinio. I Grandi elettori sono 843 (833 membri del Parlamento e dieci delegati regionali), il quorum (a partire dal IV scrutinio la maggioranza dei voti diventa assoluta e non più di 2/3) è fissato a 422, i votanti sono 833, i voti raccolti da Gronchi 658. A votarlo sono quasi tutti i partiti presenti in Parlamento: Dc, Psli, Pci, ma anche Msi e monarchici. Ottengono voti Einaudi (70), da parte di Pli e Psdi, mentre 92 sono le schede bianche (tra cui quelle del Pri, ma anche di molti democristiani), due le schede nulle, 11 i voti dispersi. Gronchi, entrato in carica l’11 maggio 1955, termina il suo mandato l’11 maggio 1962.

Con Gronchi presidente nascono anche le ‘esternazioni’

L’elezione di Gronchi è stato un vero disastro per la Dc e la sua maggioranza: la Dc ne esce frammentata e disunita, i suoi alleati disorientati, il governo indebolito mentre le sinistre ottengono un inaspettato risultato. Eleggere un anti-atlantico e disponibile al dialogo a sinistra. Gronchi si dimostra un presidente-interventista: l’ostilità di Scelba alla sua nomina la ripaga subito costringendolo alle dimissioni: è la prima volta di un Capo dello Stato a un premier. L’influenza dei poteri presidenziali e le innovazioni rispetto al ruolo del presidente-notaio (De Nicola ed Einaudi) saranno indelebili.
Già il primo discorso di Gronchi da presidente è per nulla formale e tutto politico. Invita la maggioranza a “far entrare nell’edificio dello Stato le masse lavoratrici” (cioè il Pci e il Psi). Tuona contro “la dittatura dei partiti” e “l’oligarchia burocratica” che “minacciano la libertà del Parlamento”. Poi esorta a “contrastare il dominio delle multinazionali in Italia” (Gronchi è vicino all’Eni di Mattei), “attuare una vera politica di programmazione democratica ed eliminare i dislivelli sociali persistenti nel Paese”. Saragat, furibondo, sbotta: “Abbiamo anche noi il nostro Peròn italiano. Il Peròn di Pontedera”.

‘Possibile che un Capo dello Stato non possa parlare? Io so chi sono!’

Nascono con Gronchi anche le ‘esternazioni’, non più sottoposte al vaglio preventivo del presidente del Consiglio. La novità è talmente forte che, il 24 novembre 1955, il senatore Sturzo presenta una interrogazione parlamentari contro i discorsi di Gronchi. Il quale ai suoi collaboratori dirà, con accenti pirandelliani: “Possibile che un capo dello Stato non abbia diritto a parlare? Non e’ ammissibile che la costituzione preveda un presidente impagliato! Io so chi sono!”. E’ sempre di Gronchi la prima visita presidenziale all’estero, e proprio negli Usa (1956). C’era chi voleva impedirglielo o farlo ‘supplire’, nei giorni dal presidente del Senato Merzagora, suo antico rivale, che rinunzia, trovando giustamente assurda l’idea.

Il governo Tambroni (1960) e le ‘convergenze parallele’

Il paradosso è che la presidenza Gronchi passerà alla storia, oltre che per alcuni lati di costume (la censura a Tognazzi e Vianello in Rai, le molte amanti di cui si favoleggiava, etc.) per aver fatto ‘una cosa’ di destra. La nomina a premier, nel 1960, di un suo fedelissimo, Fernando Tambroni, che viene dalla sinistra Dc, per un “governo del presidente”. In teoria, il nuovo governo dovrebbe aprire a sinistra, ma la fiducia Tambroni la ottiene solo con l’appoggio esplicito dell’Msi. E’ la prima volta dalla Liberazione e nessun altro partito prende bene la cosa. Le sinistre scatenano scontri di piazza da Genova, dove l’Msi voleva celebrare il suo congresso, a Reggio Emilia, dove la polizia spara sui manifestanti e ne uccide cinque. Tambroni è costretto a dimettersi e, per la nemesi della politica, torna in servizio, cioè al governo, Fanfani. Il quale, con Moro, darà vita ai veri e propri governi di centrosinistra, dalla fine del 1960 in poi. Una curiosità: fu proprio questo primo monocolore dc, a guida Fanfani, sostenuto da partiti laici e centristi nonché dall’astensione parlamentare di socialisti e monarchici, a essere ribattezzato da Aldo Moro con una formula celebre: le ‘convergenze parallele’.


NB. Questo articolo è stato pubblicato sul blog ‘I giardinetti di Montecitorio’ che tengo sulle pagine Internet di Quotidiano.net