Elezioni presidenziali/5. Saragat o dell’arco costituzionale (1964)

2 Gennaio 2015 0 Di Ettore Maria Colombo

Riprendiamo la carrellata sulle elezioni dei presidenti della Repubblica della storia d’Italia. Dopo De Nicola (1946), Einaudi (1948), Gronchi (1955) e Segni (1962), è la volta di Giuseppe Saragat (1964). Socialista riformista, sono sue molte innovazioni nello stile presidenziale, a partire dal discorso di Capodanno. Sua anche l’invenzione di una formula diventata celebre, quella dell’arco costituzionale. 

Lo scenario politico. Il centrosinistra vero, quello ‘organico’ (1963-’64).
Prima delle dimissioni di Segni (6 dicembre 1964) e dello sventato golpe De Lorenzo (agosto 1964), si erano tenute, appena l’anno prima, le elezioni politiche del 1963. La Dc subisce una forte flessione, passando dal 48,4% del 1958 al 38,3%, il PSI ha una flessione minima (passa dal 14,3% al 13,8%) ma verrà presto fortemente indebolito dalla scissione del Psiup, la sua ala sinistra ostile ai governi di centrosinistra. Guadagnano consensi i socialdemocratici, già’ al governo, e i liberali, che sono all’opposizione, sottraendo molti consensi alla Dc proprio a causa della sua apertura al Psi. Salgono i voti del Pci (dal 22,7% al 27,3%). Dalla ricostruzione alla programmazione economica è il leit motiv del governi di centrosinistra. Alla fine del 1963, infatti, Aldo Moro aveva dato vita al I governo organico di centrosinistra con Nenni vicepresidente del consiglio. Si iniziano a fare le rifrome, quelle vere.Nel 1964 si verifica la scissione da sinistra dal Psi, il Psiup, nell’aria da tempo, e iniziano i colloqui tra Psi e Psdi (incontro Nenni di Pralognan) che porteranno, dopo molti anni, alla riunificazione socialista Psi-Psdi (1966).

Giuseppe Saragat, presidente della Repubblica (1964-1971)

Giuseppe Saragat, presidente della Repubblica (1964-1971)

Saragat e il lungo ‘tempo dell’attesa’ per il Colle.
Il tempo dell’attesa del Quirinale, per Giuseppe Saragat, dura nove lunghi anni. Prima deve digerire che, per sette anni, vi si stabilisca il dc di sinistra Giovanni Gronchi, poi per altri due anni il dc conservatore Antonio Segni. E proprio nei mesi dell’impedimento occorso al presidente Segni (agosto-dicembre 1964) capisce che può farcela. Al contrario di Segni, Saragat gode già dell’appoggio dei socialisti in quanto apertamente schierato a favore della formula del centrosinistra. Spera nel sostegno del Pci che corteggia pubblicamente (“Sono utili, quando servono, anche i loro voti”). D’altro canto, non gli mancavano neppure i consensi tra i moderati. Era stato lui, con la scissione di palazzo Barberini del 1947, a contribuire alla vittoria del fronte moderato, Dc in testa, alle politiche del 1948. E, nel 1963, un laico come lui si spinge a un panegirico della Pacem in terris di papa Giovanni XXIII per accattivarsi le simpatie dei cattolici. Ma Saragat sapeva che sarebbe stata dura, la corsa per il Colle. I candidati al Quirinale non mancano neppure stavolta: si va da Giovanni Leone (Dc) a Pietro Nenni (Psi) a Umberto Terracini (Pci). Questi gli schieramenti ai nastri di partenza.
Le urne si aprono sotto Natale. E anche nel Pci nascono le correnti.
Le urne si aprono il 16 dicembre 1964. Si vota, cioè, sotto Natale, feste comprese. Moro, stavolta, non vuole fallire. Fa tesoro degli errori del passato, di De Gasperi come di Fanfani, e spiega a Nenni in un colloquio privato: “Se candidassimo subito Saragat, i gruppi democristiani si ribellerebbero e verrebbe eletto Fanfani”. Il candidato ufficiale dello scudocrociato diventa, dunque, Giovanni Leone, allora presidente della Camera, che la spunta su molti altri nomi in lizza che pure erano girati vorticosamente nella Dc (Fanfani, Pastore, Scelba, Taviani, Piccioni) ma anche negli altri partiti (Terracini e Nenni su tutti). In realtà, i dorotei sono spaccati: Forlani vorrebbe Fanfani, Rumor è per Leone, Moro spinge Leone ma, appunto, parteggia segretamente per Saragat. Saragat, all’inizio, è il candidato solo di Psdi e Pri. Per la prima volta anche il Pci è spaccato. Saragat è quello della scissione filoatlantica e anticomunista di palazzo Barberini del 1947, ma è anche quello che va predicando, da anni, la ricomposizione e l’unità tra tutte le forze della sinistra. E’ in quest’ottica che l’ala destra del Pci, i ‘riformisti’ che fanno capo a Giorgio Amendola, lo appoggia mentre la sinistra interna, che si raccoglie intorno a Pietro Ingrao, gli preferisce Fanfani. Dopo la morte di Togliatti e il suo lascito più importanti, il Memoriale di Yalta (1964), il Pci è guidato da Luigi Longo, ma sono nate, appunto, le ‘correnti’ anche lì. Amendola, che teorizza il ‘partito unico della classe operaia’, punta su Saragat in nome dell’unita’ delle sinistra, Ingrao (e Alicata) scommette su Fanfani in nome dell’anticapitalismo, di una visione laica del centrosinistra e di quelle che chiama “larghe e libere convergenze”. Longo prova a tagliare corto: “Ci chiedano i voti alla luce del sole. Niente luce, niente voti”. Non sarà così: anche Longo tratterà in segreto i voti. Infine, il Pli: ha un candidato di bandiera, Gaetano Martino, già ministro degli Esteri di De Gasperi, ma senza chanche.
Il ‘supplizio cinese’: il saliscendi Leone-Fanfani che brucia entrambi.
Al primo scrutinio, quello del 16 dicembre, Leone ottiene 319 voti, 250 vanno a Terracini, 140 a Saragat, 18 a Fanfani, ben 123 i voti dispersi. Saragat si fa cauto e capisce che la gara sarà lunga. Al terzo scrutinio Fanfani sale a 117 voti, Leone scende a 290. Il saliscendi andrà avanti per molto e Saragat capisce che prima deve ottenere che i due candidati della Dc si scannino tra di loro. I franchi tiratori della Dc non aspettano altro. Leone, che vede i suoi voti crollare uno scrutinio dopo l’altro, definirà quelle votazioni “un supplizio cinese”. Il Paese, per la prima volta, rumoreggia e, sempre per la prima volta, nel Transatlantico inizia a regnare la paura: “Facciamo schifo!”. “Che spettacolo stiamo dando!”. Il presidente della Camera rivolge a tutti un (inutile) invito al contegno: “Rendetevi conto, onorevoli colleghi, della solennità del momento!”. Niente da fare. Per convincere Fanfani a farsi da parte e sbloccare lo stallo scende in campo, di nuovo, il Vaticano, con una lettera del direttore dell’Osservatore romano suggerita da papa Paolo VI: “Quassù si desidera una rinunzia per il bene maggiore”. Ma a ritirarsi, ormai esasperato, sarà Leone. Dopo l’ennesimo saliscendi (294 voti al IV scrutinio, poi 278, 313, 312, 305, 299) e con Fanfani in regressione tranne uno scrutinio di impennata (VIII scrutino: 132), Leone annuncia il ritiro della sua candidatura al XVI scrutinio, la notte di Natale. Nello stallo che si crea, i Grandi elettori della Dc iniziano ad astenersi in massa nei voti successivi. In 368 passano davanti all’insalatiera pronunciando la parola ‘astenuto’ mentre dai banche delle sinistre si urla ‘vergognatevi!’. Nella Dc si sfiora il patatrac. Fanfani pensa di riuscire a far emergere la sua candidatura ‘pirata’ anti candidato ufficiale (Leone) facendola crescere nell’urna e facendo convergere su di lui sinistra e destra, ma fallisce ancora una volta. La candidatura di Leone, inizialmente sostenuta da dorotei, centristi e Andreotti, svanisce da sola. Nella notte di Natale, fanfaniani e forzanovisti (Donat Cattin) accusano e, a loro volta, vengono accusati di sabotaggio dai centristi (Scelba) come dalla destra (Andreotti). Due capicorrente ribelli, De Mita e Donat Cattin che, ricorda Leone, “si facevano pubblico vanto di non avermi votato”, verranno sospesi dalla Dc per “atti di rilevante indisciplina politica”. Magra consolazione per Leone. La riunione dei Grandi elettori Dc si chiude con un documento che sembra orientarsi su Saragat, ma che non lo nomina mai. Insomma, il concetto che il segretario del partito, Mariano Rumor, spiega agli alleati di governo (Psi, Psdi, Pri), alzando bandiera bianca sui nomi, è che la Dc rinuncia a proporre un proprio nome, e che tocca agli altri di farne uno loro. Uno ‘tipo’ Saragat…
Saragat e un appello ambiguo ma decisivo: ‘l’arco costituzionale’.
Ma ora è Saragat che deve guardarsi dai ‘giochi’ contro di lui. Al XIV scrutinio, con Leone che arriva al suo massimo (405 voti), esplode la candidatura di Pietro Nenni (353), votata da Psi, Pci e Pri, mentre Saragat prende solo otto voti. Allo scrutinio del 26 dicembre, giorno Santo Stefano, Saragat balza a 311 voti ma Nenni ne ottiene molti di più (380). Saragat fa sapere che è pronto a ritirarsi mentre la Dc lo sonda, pronta a votarlo, ma solo al prezzo di discostarsi nettamente dal Pci. Saragat tratta, di nascosto, da un lato con la Dc e dall’altra con il Pci. Longo chiede un appello pubblico, esplicito, la Dc fa altrettanto. Saragat, che promette a Fanfani il posto da ministro degli Esteri (e così fu), s’inventa una dichiarazione che è un capolavoro di ambiguità e tattica: “Ho posto per la seconda volta la mia candidatura a presidente della Repubblica e mi auguro che sul mio nome vi sia la confluenza di tutti i partiti democratici e antifascisti” e della “parte più democratica del Parlamento”. In pratica, dopo che, appena l’elezione precedente, i voti di missini e monarchici erano serviti eccome, per portare Segni al Colle, è la teorizzazione, nero su bianco, dell’arco costituzionale, e cioè dell’accordo per le massime cariche istituzionali di tutti i partiti ‘nati’ dalla Resistenza e dalla Guerra di Liberazione, antifascisti e antimonarchici. L’arco comprende il Pci? Per il Pci e il Psi sì, per la Dc no, ma è una finzione. A quel punto, e siamo al XIX scrutinio, a ritirarsi è Nenni, consapevole che non avrà più i numeri utili a farsi eleggere, ma che pure ottiene 325 voti. Finalmente, al XXI scrutinio, Saragat sa che ce la farà. I due, Saragat e Nenni, sciolgono la tensione accumulata con un abbraccio liberatorio e riappacificatorio dopo giorni di tensione. Il repubblicano Ugo La Malfa commenta: “Dobbiamo essere contenti che, alla fine, una llinea politica ha trionfato su tanti intrighi”. Il deputato monarchico Covelli urla: “W la Monarchia!”.
Modalità di elezione di Saragat (XXI scrutinio, 464 voti, 28 dicembre 1964).
Giuseppe Saragat viene eletto V presidente della Repubblica italiana il 28 aprile 1964 con 646 voti su 932 presenti, 927 votanti (963 erano i Grandi Elettori: 950 membri del Parlamento e 13 delegati regionali, 482 il quorum, dieci le schede bianche) al XXI scrutinio. Voti che arrivano da tutti i partiti, esclusi Pli (che continua a votare, con 56 voti, il suo candidato di bandiera, Di Martino) e Msi, oltre a un manipolo di coriacei franchi tiratori. Saragat, entrato in carica il 29 dicembre 1964, sarà presidente della Repubblica Italiana fino al 29 dicembre 1971.
La presidenza Saragat: nasce il vero discorso di fine anno.
Giuseppe Saragat (Torino, 1898 – Roma, 1988), socialista riformista, seguace di Turati, esiliato in molti paesi esteri durante il fascismo, arrestato dai nazisti nel 1943, presidente dell’Assemblea Costituente nel 1946-‘47, nel secondo dopoguerra promotore della scissione di palazzo Barberini che separa le sorti del suo Psli (poi Psdi) dal Psi di Nenni in funzione filoatlantica e in alleanza con la Dc di De Gasperi, a lungo sbeffeggiato e odiato dai comunisti, fu il vero presidente del centrosinistra. L’ascesa di Saragat al Colle favorirà la riunificazione socialista: Psi e Psdi si uniscono nel Psu (1966), Partito socialista unificato, ma questa stessa avrà vita breve (si scioglierà nel 1969, dopo il fallimentare esordio del Psu alle elezioni del 1968). Saragat sarà il primo ‘vedovo’ al Quirinale, dove lo accompagnerà solo la figlia Ernestina, un grande sponsor politico dei governi di centrosinistra, dell’alleanza con gli Usa e, appunto, della fallita riunificazione socialista. Amante del vino (“presidente Barbera” lo chiamava Montanelli), dalle tentazioni presidenzialistiche alla De Gaulle nel ’68-’69, si deve a lui se il messaggio di Capodanno è diventato, da rito burocratico e dimesso, un discorso popolare e diretto ai cittadini italiani con un bilancio dell’attività dell’anno passato e i suggerimenti del Capo dello Stato per l’anno nuovo. Particolarmente significativo il discorso di Saragat del 31 dicembre 1970: il leader del Pri, Ugo La Malfa, voleva che si dimettesse in anticipo per non incrociare il semestre bianco con le elezioni politiche. Saragat non apprezza e lo spiega agli italiani, avvertendoli in diretta tv: “il mio settennato avrà termine il 29 dicembre 1971…”. Non un giorno di meno.

NB. Questo articolo è stato pubblicato il 2 gennaio 2015 sul blog ‘I giardinetti di Montecitorio’ nella sezione blogger – Politica del Quotidiano Nazionale