Elezioni presidenziali/10. Ciampi o del metodo delle ‘larghe intese’ (1999)

14 Gennaio 2015 0 Di Ettore Maria Colombo

Continuiamo la galleria del racconto delle elezioni presidenziali. Siamo a Ciampi (1999), eletto con un metodo simile a quello di Cossiga, le larghe intese, ma dentro un quadro politico del tutto nuovo, quello della II Repubblica.

Il governo dell’Ulivo, la sua caduta, l’inciucio della Bicamerale e il governo D’Alema. Anni convulsi (1996-98)

Dopo sette anni di presidenza Scalfaro (1992-1999) e, cioè, di continuo interventismo presidenziale nella scelta dei governi (governo Dini, 1995, tentativo Maccanico, 1996, etc.) tutti i partiti che basano i loro rapporti di forza parlamentari sui risultati delle elezioni del 1996 (vittoria dell’Ulivo), vogliono voltare pagina e ritrovare un presidente della Repubblica ‘freddo’ e non ‘caldo’, ‘imparziale’, non ‘parziale’, ‘arbitro’ e non ‘giocatore’. Il Polo delle Libertà, Berlusconi in testa, con Scalfaro ha avuto un lungo, pesante, scontro durato anni, da quando lo ha accusato del ‘ribaltone’ per destituirlo dal governo e sostituirlo con Dini nel 1994, ma anche il centrosinistra – dopo la caduta del I governo Prodi (1997), la rottura con Rifondazione e la nascita del governo D’Alema (1998) – non è più quello della stagione dell’Ulivo. Persino il ‘revenenant’ Cossiga appoggia il centrosinistra, ora, con il suo Udr, dal Prc è uscito il Pdci di Cossutta, gli ulivisti duri e puri imputano a D’Alema, oltre che a Bertinotti e a Marini, leader del Ppi, il tradimento di Prodi. Sono stati, gli ultimi anni, anche quelli della Bicamerale per le riforme istituzionali, bicamerale presieduta da D’Alema, del ‘patto della crostata’ (mangiata a casa Letta) tra D’Alema e Berlusconi, anni che per la sinistra radicale e i girotondi, che presto nasceranno, sono i terribili anni del cd. ‘inciucio’.
La Bicamerale è saltata e il Polo è all’opposizione del ‘nuovo’ centrosinistra di D’Alema, ma Berlusconi e D’Alema convergono sul fatto che il nuovo capo dello Stato deve ‘descalfarizzare’ il Quirinale: non può essere un politico abile nella manovra di palazzo come lo era il Presidente uscente. Occorre, scrive il quirinalista del Corse Marzio Breda, “un defibrillatore istituzionale, un dissuasore” che spenga gli incendi, invece di accenderli. “Una figura istituzionale all’insegna della terzietà”, auspica il Gran Visir Gianni Letta.

 

Marini è convinto, sbagliando, di avere il Quirinale ‘in tasca’

Ed è proprio Franco Marini, ex leader della Cisl, leader del PPI e tra i principali ‘assassinatori’ del I governo Prodi, ha ritenere di avere la strada spianata, in vista del Colle, con tanto di accordo con D’Alema firmato e sottoscritto tra i due. A Ciampi si arriverà dopo un vorticoso gioco di sgambetti, sospetti reciproci e veti incrociati. Il centrodestra, è ovvio, si oppone a qualsiasi ipotesi di riconferma di Scalfaro. I DS, el resto, hanno già ottenuto palazzo Chigi per D’Alema, non possono chiedere un altra carica istituzionale per sé. In ogni caso ci pensa D’Alema a sbarrare la strada ad altre candidature di peso: quella di Luciano Violante, allora presidente della Camera, e quella del da poco ‘pensionato’, e ancora furibondo, Romano Prodi, fondatore dell’’Ulivo. La voce di un patto ‘segreto’ tra D’Alema e Marini sul Quirinale inizia a circolare vorticosamente, anche sui giornali: il PPI ha dato ‘via libera’ a un ex ‘comunista’ a palazzo Chigi in cambio della luce verde a un ‘democristiano’ al Colle.
Dall’altra parte, Berlusconi fa circolare due nomi: Giuliano Amato, l’ex premier della tempesta finanziaria del 1992, ex craxiano e fino a due anni prima presidente dell’Antitrust; ed Emma Bonino, eletta con Forza Italia nel ’94 e fino rimasta nell’orbita del centrodestra, scelta da Cavaliere come commissario europeo insieme a Mario Monti. Inutile sarà, da questo punto di vista, la campagna, molto forte sui giornali e nell’opinione pubblica, ‘Emma for president’, la prima battaglia per un nome presidenziale condotta anche via Internet. Inoltre né a Fini né a Casini, alleati di Berlusconi, va giù Marini: Fini non vuole un popolare, per Casini scatta la rivalità (e la gelosia) tra due ex-dc. Marini inizia a sentire puzza di bruciato e propone una terna: comprende lui stesso, Nicola Mancino, presidente del Senato, che viene dalla sinistra dc, e Rosa Russo Jervolino, ex presidente del gruppo del PPI e fedelissima di Scalfaro. Tutti e tre sono, naturalmente, popolari ed ex-dc al cubo. Ma il centrodestra, appunto, non ne vuole neppur sentir parlare.

Veltroni lancia, all’improvviso, la candidatura di Ciampi

E’ l’allora segretario dei Ds, Walter Veltroni, a mettere in giro e poi a lanciare ufficialmente, con un’intervista il 13 marzo, la candidatura di Ciampi: laico, tecnico, super partes. Lamberto Dini, che coltivava sogni e ambizioni personali, la bolla come “una candidatura dell’estrema sinistra”” (sic!!!). Marini è furibondo. Chiede a Veltroni e D’Alema un incontro segreto che si tiene il 18 marzo: Veltroni acconsente solo a proporre al Polo la doppia candidatura di Ciampi e Jervolino ma Marini s’impunta. Vuole che venga proposto al Polo un solo nome e che sia un popolare: Jervolino, Mancino o lui… Veltroni dice no al nome di Mancino, dice sì alla Jervolino. Marini crede, ancora una volta, che l’accordo sia fatto. Alla fine si brinda pure. Un altro errore di ingenuità micidiale. Veltroni si presenta davanti ai tre leader del Polo (Berlusconi, Fini e Casini) senza un vero mandato a trattare. Berlusconi, che aveva visto Fini e Casini a cena e si era messo d’accordo con loro per dire sì solo a tre nomi (Amato, Ciampi, Mancino) con una forte predisposizione di Fini (in costante contatto con D’Alema) per Ciampi, ci mette un amen a dire no alla Jervolino, che definisce “uno Scalfaro in gonnella”. Nel frattempo, Gianni Letta va a trovare Antonio Maccanico, amico di Ciampi, e gli fa sapere: “se il centrosinistra è d’accordo, il nostro candidato non sono gli altri due, ma sei solo tu”. Del resto, Berlusconi temeva che se l’Ulivo bruciasse nell’urna i nomi dei vari popolari (oltre a Jervolino e Mancino, gira anche quello di Sergio Mattarella) poteva tornare in auge, più avanti, il nome di Scalfaro.

Il drammatico vertice dell’Ulivo. D’Alema s’impone

Il problema resta, ed esplode, nel campo del centrosinistra. Lo scontro finale si svolge nei primi giorni di maggio. Marini s’intestardisce sulla candidatura della Jervolino, D’Alema e Veltroni insistono per affiancargli anche il nome di Ciampi, sapendo di avere in tasca il ‘sì’ di Berlusconi. Un’altro vertice del Polo contrappone di nuovo, al duo Jervolino-Ciampi, quello Ciampi-Mancino. Lo stallo appare senza uscita e neppure si è iniziato a votare. Il 12 maggio si tiene un vertice notturno dell’Ulivo dai tratti a dir poco drammatici. Marini è ancora convinto di riuscire a far passare la Jervolino, D’Alema, che ha avuto un faccia a faccia risolutore con Berlusconi, impone a tutti gli altri partiti della coalizione che dal vertice si esce solo con un nome solo, quello di Ciampi. La rottura con Marini sarà profonda, bruciante, dolorosa e personale, ma anche foriera di ulteriori disastri politici (ai tempi del II governo Prodi, per dire, quando D’Alema sarà ministro degli Esteri e Marini presidente del Senato): i due non si parleranno per anni e, ancora oggi, Marini è convinto di essere stato ‘tradito’, D’Alema di aver giocato alla luce del sole. Ma questa è un’altra storia. E’ sempre Gianni Letta a recarsi nell’ufficio dell’allora ministro del Tesoro, a via XX settembre, per dirgli che presto dovrà traslocare: “Berlusconi ha sempre chiesto che al Quirinale andasse un uomo sopra le parti, un garante vero. Lei, per la sua natura, corrisponde a questo ritratto”. I rapporti tra Berlusconi e Ciampi, in realtà, dopo una prima fase di idillio si faranno sempre più burrascosi fino alla sostanziale rottura e a molte leggi non firmate. Ma anche questa è un’altra storia.

Ciampi al Quirinale

Ciampi al Quirinale

Modalità di elezione di Ciampi ( I scrutinio, 13 maggio 1999, 707 voti)

Il 13 maggio, quando le Camere si riuniscono in seduta comune per eleggere il nuovo presidente della Repubblica, i giochi sono già fatti. Ciampi viene eletto con un plebiscito, al I scrutinio. Sono 707 i voti per lui (ben oltre la maggioranza richiesta, quella dei 2/3) su 1010 Grandi elettori e votanti. Ciampi lo votano tutti i partiti di centrosinistra e di centrodestra, tranne Lega Nord e Prc. La prima attribuisce i suoi consensi a un candidato di bandiera, Luciano Gasperini (72 voti), i rifondaroli votano per lo storico esponente del Pci, Pietro Ingrao (21 voti). Raccolgono consensi anche la Iervolino (16), la Bonino (15), Andreotti (10) e Craxi (6). In totale, tra voti ad altri candidati e voti dispersi, sono in 185.

NB. Questo articolo è’ stato pubblicato nel blog ‘I giardinetti di Montecitorio’ sulla pagina dei blogger di Quotidiano nazionale