#ildiavolovesteItalicum/11. La minoranza dem cresce nei numeri, ma manca di strategia. Solo Civati e pochi altri pensano alla scissione

5 Maggio 2015 0 Di Ettore Maria Colombo
L'emiciclo di Montecitorio

L’emiciclo di Montecitorio, visto dall’interno

Ieri, i problemi di ciò che resta della minoranza Pd erano due. Il primo era numerico. In quanti hanno votato ‘no’ all’Italicum? Dal quantum dipende, evidentemente, la consistenza numerica della (futura) opposizione interna a Renzi e, forse, anche ad altre leggi (ddl scuola, ddl Boschi sule riforme dato che solo al Senato i ribelli sono 20, etc).
La seconda domanda è tutta politica e sta, ancora una volta, tutta nel famoso ‘Che fare?’ di leniniana memoria. Fuor di metafora: preparare una scissione o dare vita a una nuova minoranza dem? La risposta alla prima domanda è, paradossalmente, più difficile. Infatti, stante i 334 sì e con la gran parte delle opposizioni uscite dall’aula al momento del voto, il calcolo sui 61 ‘no’ è complicato. Per la minoranza, a botta calda, si tratta di un successo eclatante: “Siamo cresciuti e parecchio: da 38 che eravamo (i deputati usciti dall’Aula sul voto di fiducia, ndr.) oggi siamo almeno 55”, esultavano ieri Roberto Speranza e Gianni Cuperlo mentre, per Pier Luigi Bersani, “61 voti contrari è un dato politico ampio” mentre la maggioranza tendeva a far notare come i numeri del governo siano saldi, anche se 334 si’ sono molti meno dei numeri che la maggioranza gode, sulla carta, alla Camera (da 396 a 405, dipende).
Solo che, con il voto segreto, ieri richiesto è ammesso, i conti si fanno impervi per chiunque, compreso il povero cronista. Dunque, partiamo da un dato certo: dai 61 no vanno sottratti 15/16 deputati. Si tratta dei nove deputati di Alternativa libera (ex M5S) e altri 6/7 singoli, ma iscritti sempre al gruppo Misto (Corsaro, Pili, Fava, Pisicchio, un socialista, almeno cosi si dice) o altri partiti (Romano e Di Girolamo). Il totale fa 45/46, quindi, sottraendo 16 da 61, si arriva a 45 voti, e questo sarebbe (non 55, dieci unita’ in più’, il bottino della minoranza). Inoltre, ci tengono a far notare subito dalla maggioranza (Rosato, Migliore e anche Guerini), “alcuni di Scelta civica, Ncd e Udc hanno votato contro l’Italicum nel segreto dell’urna perché chiedono nuovi posti di governo e volevano mandarci un segnale”. Voti che però’, non sono calcolabili come no sicuri. Dalla minoranza ribattono che, dalle loro fila, mancavano due ‘ribelli’ (Zoggia e Cimbro), due di loro sono usciti dall’aula (Monaco e Zampa) e tre (Fabbri, Lenzi, Incerti) si sono astenuti. È cosi’ il totale, in fondo, resta sempre quello: 40/45. Ma il secondo problema, che pure riguarda sempre i numeri, e’ tutto è solo politico.

L'ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani

L’ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani

Infatti, per l’ex capogruppo Roberto Speranza, che si candida a guidare l’opposizione interna a Renzi in vista del futuro congresso (2017), l’area della minoranza e’ salda e compatta dietro di lui – anche se ha perso, nel tempo, diversi pezzi: dai 120 parlamentalri iniziali tra Camera e Senato, poi scesi a 90 e infine a 70 – e conta almeno su 40-50 deputati, più 20 senatori, e solo dentro Area riformista, cui vanno a volte aggiunti (e a volte no, dipende dal provvedimento in discussione) i 20/25 cuperliani (ma solo 14 anti-Italicum) dell’area di Cuperlo.
Invece, per la nuova area dei ‘responsabili’ che hanno scritto il famoso ‘documento dei Cinquanta’ (firme) pro-governo e pro-fiducia, rompendo con Speranza, questi avrebbe con sé solo la ‘minoranza’ della ‘minoranza’ dem. Le fila di tale nuova sotto-area le tiene il lombardo, ex bersaniano, Matteo Mauri che a QN spiega: “non vogliamo diventare dei ‘giovani turchi’ versione ‘2.0’, vogliamo restare in minoranza, anche se in dialogo con la maggioranza” mentre un altro di loro, Dario Ginefra, pugliese, dice: “chi ha votato contro la fiducia fa opposizione al Pd, anche se restano nel Pd e non se ne vanno. noi vogliamo fare la minoranza dentro il Pd, non l’opposizione a esso”. E’ chiaro che questi giovani, tutti quarantenni in carriera che qualcuno ha già’ ribattezzato ‘i giovani armeni’, non rifiuterebbero l’offerta del posto di capogruppo per uno di loro (Enzo Amendola), ove arrivasse e Renzi decidesse di spaccare ancora di più la minoranza dem mentre, in caso contrario, quel posto andra’ sicuramente al renziano Rosato.
Infine, ci sono i 5/6 ‘ribelli’ duri e puri, quelli davvero a un passo dalla scissione vera: sicura e a breve per Pippo Civati, che ha parlato di “Porcellum con le ali” e della formazione di un “gruppo autonomo”, possibile tra un po’ per Fassina, D’Attorre e Bindi più, forse, un altro paio, anche se con questi numeri i civatiani vecchi e nuovi non potrebbero costituire non solo gruppo autonomo (servono 20 deputati), ma neppure una componente nel Misto (ne servono 10).
In ogni caso, nessuno dei deputati di Area riformista, ribelli o responsabili che siano, bersaniani o cuperliani, intende abbandonare il Pd. La critica forte, e politica, di Speranza e Cuperlo è contro Renzi e “un governo che si è approvato la legge elettorale a maggioranza, come ha fatto solo Berlusconi”, riecheggiando le accuse e il voto contrario di Enrico Letta all’Italicum (“Renzi peggio di Berlusconi…”). Questa la strategia dei ‘lealisti’, comunque, alla ‘Ditta’ che, come dice Cuperlo, “ci manca solo che Renzi dice che la festa dell’Unità è casa mia!”. Quella dei ‘contestatori’ duri e puri alla Civati, invece, è assai più semplice: opposizione al governo Renzi su tutto, scuola in testa.
NB. Questo articolo è stato pubblicato il 4 maggio 2015 sulle pagine nazionali del Quotidiano Nazionale (http://www.quotidiano.net)