#DopoleRegionali/2. Renzi sfida la sinistra dem che si prepara al Vietnam al Senato: “Non sarà ricandidato chi continua a votare ‘no’ ai ddl del governo”Presto una vera ‘rivoluzione’ al partito e nei gruppi: Rosato vicesegretario unico, Guerini capogruppo alla Camera

4 Giugno 2015 0 Di Ettore Maria Colombo
Il presidente del Pd, Matteo Orfini, area dei 'Giovani Turchi'.

Il presidente del Pd, Matteo Orfini, area dei ‘Giovani Turchi’.

ROMA – Uno. Nuove regole e modalità di comportamento (sanzioni incluse) per stare nel partito e nei gruppi parlamentare, impedendo che si possa “votare no alla fiducia o a un ddl a prescindere o presentare migliaia di emendamenti killer”. Non si sa ancora se con rigide effettive sanzioni che, pur rispettando la libertà del parlamentare (eletto senza vincolo di mandato in base all’art. 49 della Costituzione), “garantiscano piena libertà di coscienza solo sui temi etici e di riforma costituzionale”, come nella proposta un po’ a sorpresa, venendo da un esponente della minoranza, che fa un cuperliano doc, Andrea de Maria, oggi membro della segreteria Renzi (delega alla Formazione). Due.

renzi

Matteo Renzi

Possibilità che le ‘nuove’ regole si traducano in una semplice moral suasion, anche se magari con l’aggiunta di una semplice, ma devastante, clausola-killer (‘vota pure no, ma tu non sarai ricandidato’) ma senza minacce o introduzione di espulsioni (“Noi non cacciamo nessuno”, prova a rassicurare la minoranza già in fibrillazione, il presidente Matteo Orfini), Tre. ‘Registrata’ alle primarie che “non possono più restare o ridiventare l’unico metodo di selezione della classe dirigente”, e più attenzione e gestione agli Enti locali fino a “rivoltarli come un guanto”, come spiega a QN Gennaro Migliore, ex SeL e oggi renzianissimo.

La Direzione del Pd di lunedì 10, convocata peraltro alle 21 de la tarde (cioè di sera…), prevede i fuochi d’artificio già solo nell’ordine del giorno, quello appena citato. Odg che, oltre a un classico del renzismo (“Avanti tutta sulle riforme”), risponde al mood post-elezioni del premier: “basta mediazioni al ribasso con i Bersani, Speranza e Stumpo (Renzi non ci mette mai Gianni Cuperlo, nell’elenco dei reprobi, anche perché con lui ha stretto un patto tra gentiluomini, ndr.), ma soprattutto basta coi Fassina e i D’Attorre! La nostra gente non vuole vedere liti, altrimenti si astiene e si ferma il cambiamento”.

La minoranza, per ora, da un lato risponde ‘picche’ e prepara emendamenti qualificanti sul ddl scuola e le riforma istituzionali, oggi entrambe approdate nel terreno minato del Senato, ma dall’altro non ha alcuna intenzione di andarsene. Anzi, punta a riorganizzarsi, come ieri hanno fatto, in un pranzo al ristorante ‘Archimede’, i suoi leader vecchi (Bersani) e nuovi (Speranza) con i loro 22 (Gotor, Fornaro, etc) senatori per preparare molti emendamenti killer (appunto…) al ddl scuola. Ma mentre ‘i Fassina e i D’Attorre’ potrebbero raggiungere Civati fuori dal Pd, la minoranza dem, per ora, vuol dar battaglia dentro, non fuori, il Pd.

Il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, detto anche 'il Forlani' di Renzi.

Il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, detto anche ‘il Forlani’ di Renzi.

Dopo la Direzione e dopo i ballottaggi arriveranno pure le ricadute organizzative del nuovo ‘passo di carica’ deciso da Renzi per il Pd fase ‘2.0’, quello della nuova rottamazione-rivoluzione. Al Nazareno – dove non arriveranno affatto, come pure si è vociferato e scritto molto, in questi giorni, né il ministro Boschi né il sottosegretario Lotti (“Mi servono dove sono”, ha tagliato corto Renzi) – arriverà e sarà nominato presto un vicesegretario unico e molto organizzativo, forse con un vice. Oggi il Pd ha due vicesegretari. Per Lorenzo Guerini, ‘il Forlani di Renzi’, si tratterà di una promozione: diventerà capogruppo del Pd alla Camera. Il premier ha deciso che serve un abile ‘tessitore’ come lui (‘equi-vicino’ al ‘giglio magico’, a Delrio e pure alla minoranza!) per guidare un gruppo formato da ‘sensibilità’ diverse (troppe e troppo diverse tra loro, ormai).

Ettore Rosato, invece, attuale vice-capogruppo vicario del Pd alla Camera, dalle dimissioni di Speranza in poi, diventerà vicesegretario unico, o  ‘accompagnato’ da un vice, del Pd. Renzi a Rosato lo vuole al Nazareno per raddrizzare la barca dopo la botta delle Regionali, ‘botta’ che ormai neppure i renziani più oltranzisti nascondono di aver preso. Non a caso, Rosato, va sempre più spesso in tv perché funziona’, dicono gli spin doctor del premier. Al suo fianco, o resta la Serracchiani (“ma due friulani nello stesso ufficio sarebbe davvero troppo!”, sibila la minoranza che vorrebbe metterci un suo uomo: Nico Stumpo), o il triestino Rosato potrebbe essere affiancato dal napoletano verace ed ex-Ds Enzo Amendola, oggi deputato e capogruppo dem nella commissione Esteri.

Amato e benvoluto dai colleghi deputati (“Se Rosato è il nostro sergente di ferro, Enzino è un commilitone con cui fare gavettoni agli altri!”), che lo eleggerebbero capogruppo al volo, Amendola – che di suo è un po’ pigro – non mostra ambizioni e, proprio come Rosato, che invece è un iperattivo, dice: “Sono a disposizione, faccio quello che mi dice il partito”. Il suo gruppo, invece, i nenonati ‘giovani armeni’ (50 deputati coordinati da Matteo Mauri, ministro di riferimento il ministro Martina e, oggi, anche Andrea Orlando, che si sta posizionando su un idea di Pd ‘socialdemocratico’ e ‘di sinistra’), negano, dopo aver svuotato il grosso di Area riformista (30 deputati), di volere ‘solo’ posti, ma li avranno. Specie i capigruppo delle commissioni che il Pd, entro metà giugno, sfilerà a Forza Italia, all’atto del ricambio di metà legislatura: salteranno le teste di Cicchitto (Esteri), dove potrebbe andare proprio Amendola se non diventasse capogruppo o vicesegretario, Capezzone (Finanze), dove potrebbe andare un ‘giovane armeno’ (Mauri o Ginefra), Affari costituzionali (Sisto), posto predestinato per il capogruppo in I Commissione, Lele Fiano, e molte altre. Invece, le tre presidenze in mano a esponenti della minoranza dem (Epifani alle Attività produttive, Damiano al Lavoro, Boccia al Bilancio) non cambieranno presidente perché i tre esponenti di minoranza si sono dimostrati, in questi mesi, ‘leali’, per i renziani. Traduzione: non hanno fatto cagnara più di tanto tra Jobs Act, Italicum, ddl scuola, etc.


NB. Questo articolo è stato pubblicato il 4 giugno 2015 a pagina 5 del Quotidiano nazionale