#Renzi tratta sulla# scuola: intesa con la minoranza a un passo, poi voto di fiducia sul maxi-emendamento, dove verranno accolte alcune richieste della sinistra #Pd. Solo Tocci e Mineo, oltre grillini e Sel, restano sulle barricate.

23 Giugno 2015 0 Di Ettore Maria Colombo
Il presidente del Senato, Pietro Grasso.

Il presidente del Senato, Pietro Grasso.

ROMA – «FARANNO due-tre modifiche, quelle che diversi importanti soggetti, istituzionali e sociali, chiedono. Poi ci sarà la fiducia su un testo blindato che tale resterà pure alla Camera per il voto finale (dove deve arrivare entro il I luglio se si vuole evitare il blocco del turn over, ndr.)». L’antica sapienza del senatore Paolo Naccarato (ex Tremonti, ex Ncd, ora Gal) aiuta a districarsi nel tormentone del giorno: passerà il ddl scuola al Senato? Sì.
Oggi riprenderà l’esame del ddl in commissione Cultura e il minuetto tra maggioranza e opposizione sui 2mila e rotti emendamenti in discussione rischia di incanaglirla. Come pure i rapporti, tesi allo spasimo, tra Renzi e Grasso. Il presidente del Senato vorrebbe imporre anche un passaggio in commissione Bilancio, quella presieduta dal ciclopico e rinviato a giudizio Azzollini, essendo il ddl scuola una legge di spesa. Inoltre, Grasso – che ormai i renziani detestano – non vuole che il governo metta la fiducia, ma la questione di fiducia verrà posta e, entro giovedì, il testo arriverà blindato per l’Aula.
Ci sarà il famoso Vietnam che la sinistra dem (22-25 senatori, se in formazione completa) un giorno sì e l’altro pure minaccia, al Senato? In parte sì, a sentire le dichiarazioni di vietcong avvezzi a ogni guerriglia. «La fiducia sarebbe un abuso e una dichiarazione di guerra», bombarda Corradino Mineo. «Il governo usa la clava delle assunzioni dei precari per compiere scelte dannose», attacca Walter Tocci. In parte no, a sentire i bersaniani doc. «La fiducia è l’atomica, non mi piace si usi ogni volta», dice il senatore Federico Fornaro, «ma la mia formazione politica non è di chi nega la fiducia al governo con leggerezza. Spero e credo che si troverà una mediazione, anche perché, sulla scuola, noi veniamo apprezzati dalla gente e non possiamo più perdere la faccia».
Alla mediazione con il governo lavora, sul lato minoranza, un altro bersaniano (ex ideologo del Bersani-pensiero, peraltro), Miguel Gotor. Chiede molte cose, e tutte molto tecniche, Gotor (fondo di perequazione per le scuole svantaggiate, rispetto delle graduatorie nell’organico comune e di sostegno, da potenziare, etc.), ma la sostanza è politica: «Se Renzi cede su alcuni punti, abbastanza sostanziali, è fatta».
MA lo stesso premier che ieri avvertiva tutti, facendo un po’ di classica guerra psicologica («se il ddl non passa, non ci saranno le 100 mila assunzioni che si faranno con il turn over»), cederà davvero alla sua odiata minoranza? È incredibile, ma stavolta può succedere. «Non c’è aria di Vietnam», confermano renziani saggi come il senatore lucano Salvatore Margiotta, «l’accordo nel Pd è davvero a un passo». Certo, i senatori dem renziani a palazzo Madama mettono le mani avanti: «Tocci e Mineo sono variabili impazzite, potrebbero votare no alla fiducia e qualcun altro di loro uscire dall’Aula, ma i numeri ci sono, il ddl passerà».
E se grillini e Sel sono già sulle barricate («Renzi ricatta il Parlamento», urla Vendola), «molti azzurri e di altri gruppi minori», racconta sempre Naccarato, «nei prossimi giorni scopriranno di avere improrogabili impegni». Anche perché la legislatura proprio non la vuole far cadere nessuno. Certo, fino alla fine non si può mai sapere cosa succederà. Come recitava l’antico brocardo latino, infatti, senatores boni viri, Senatus mala bestia.
NB. Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2015 a pagina 14 del Quotidiano Nazionale.