Debutta l’asse Speranza-Cuperlo: “Vogliamo riprenderci il #Pd” La sinistra sogna la rivincita: Renzi non abusi della nostra pazienza

28 Giugno 2015 0 Di Ettore Maria Colombo

«L’UNIONE fa la forza», dicevano gli antichi

 

Nella pazza galassia che risponde al nome di sinistra Pd, dove ogni giorno c’è uno che se ne va (Civati, Fassina, Mineo, forse, e presto, D’Attorre, etc.) o uno che si scinde (è nata da poco Sinistra è cambiamento di Martina: ha 40 parlamentari circa, Speranza ne ha tenuti con sé i restanti 50, Cuperlo altri 20: totale, gli ex 120 della minoranza dem tutta intera), hanno capito che era l’ora di serrare le fila e rimotivare le truppe, specie sui territori. Così, ieri, al centro congressi Alibert – che si trova dietro piazza di Spagna, tutti a rimarcare che fu il luogo della riunione in cui il Pd scelse Mattarella come capo dello Stato, nessuno a ricordare che fu anche il luogo dove Bersani presentò lo sfortunatissimo patto pre-elettorale ‘Italia Bene Comune’ con Sel e Cd – un’assemblea che doveva essere della sola (ex) Area Riformista, nata quando Bersani, scalzato da Renzi, finì in minoranza nel partito, ma che all’epoca contava 120 parlamentari (appunto), è già pronta a fare da falange oplitica di tutti “quelli che” «siamo contro Renzi, ma vogliamo riprenderci il Pd». Morale: «la grande assemblea comune» lanciata «per l’autunno» s’è già bella che fatta, in realtà. Ieri, al centro congressi Alibert, dove, in effetti, gli esponenti della minoranza non sono pochi, compresi alcuni nomi del passato ma ancora sulla breccia (l’ex segretario Pier Luigi Bersani, l’ex governatore dell’Emilia Vasco Errani, l’ex ministro Vincenzo Visco, l’ex dirigente del Pci-Pds-Ds Alfredo Reichlin), tutti i big dell’area, da Guglielmo Epifani allo stesso Speranza, i loro colonnelli (Nico Stumpo, Davide Zoggia, lo stesso Alfredo D’Attorre, Danilo Leva, tutti alla Camera, mentre Miguel Gotor e Federico Fornaro guidano l’agguerrita pattuglia della minoranza dem al Senato). Apre il giovane lucano (classe 1979) Roberto Speranza, ormai ex capogruppo alla Camera, ma anche, ormai, nuovo leader dell’area (così ha deciso, non da oggi, Bersani).
SPERANZA attacca, duro, il premier («Il Pd non è Renzi né può essere il megafono di palazzo Chigi»), lancia il guanto di sfida per il prossimo congresso (autunno 2017, in teoria, sempre che si voti nel 2018…) con una frase-slogan («tocca a noi rispondere a chi chiede un altro Pd e un altra sinistra»), prende di petto i renziani che gestiscono il partito («è diventato solo una somma di comitati elettorali che asfalta le forze intorno e poi perde le elezioni»: al povero Guerini saranno fischiate le orecchie) e poi lancia la stoccata finale: «Non si può abusare all’infinito del nostro senso di responsabilità». Una sorta di quo usque tandem abutere patientia nostra? di ciceroniana memoria (il cattivo dell’epoca, Catilina, fece una bruttissima fine, peraltro) a Renzi. Sull’Italicum, sulla riforma del Senato e su molte altre leggi (diritti civili, Rai, ma anche ddl scuola che deve tornare alla Camera) per le quali la minoranza dem sostiene, oggi, che “Renzi non potrà più fare a meno di noi”.
Anche Cuperlo critica il premier («la leadership di Renzi è fragilissima»), ma soprattutto, con inusitato disprezzo, attacca gli (ex) compagni di Martina&co. cui dà, in sostanza, dei “camerieri” o “utili idioti” («levigano lo spigolo, metton a posto il mobilio…»). Oltre alla lotta sui temi caldi (Italicum e Senato), Speranza raccoglie l’abbraccio di Cuperlo: entrambi puntano, più che a far cadere il governo (ma c’è chi “spera” in un governo istituzionale “de-renzizzato”), a far perdere a Renzi la carica di segretario: «Il doppio incarico non regge più, apriremo una discussione su questo, nel partito».
“Fin qui tutto bene”, diceva – cadendo da un grattacielo – il protagonista di un vecchio film, poi però va sul palco l’arzillo vegliardo Alfredo Reichlin (90 primavere quest’anno) e rovina la festa a tutti. Duro contro Renzi («E’ un ignorante, dietro di lui c’è il vuoto»), Reichlin non risparmia affatto la minoranza: «Non bastano le proteste e i voti contrari a leggi sbagliate. State attenti a non diventare una setta come le altre. Il problema non è Renzi, ma il pensiero politico che non c’è, nel Pd, dove non c’è una cultura politica». Ecco, appunto.
NB. Questo articolo è stato pubblicato il 16 giugno 2015 a pagina 16