Il Retroscena/4. #Renzi ora tira il freno sul #Senato elettivo: mancano i numeri. Minoranza dem e ‘Stabilizzatori’: “Lo obbligheremo a cercare un’intesa”

6 Luglio 2015 0 Di Ettore Maria Colombo

«FAR LE COSE bene», senza correre», non per forza e con la possibilità di scavallare l’estate pur di far fare dei passi avanti, al ddl Boschi (riforma del Senato e del Titolo V), ma solo mantenendo, ovvio, «spirito costruttivo». Martedì 7 luglio, in commissione Affari costituzionali di palazzo Madama, riprenderà l’esame del testo: manca ancora il relatore (forse sarà la stessa presidente, Anna Finocchiaro, forse il testo arriverà in aula senza relatore…) e i numeri, almeno lì dentro, sono pericolosamente stretti, per il governo (14 a 14). Ecco perché Renzi si è già messo in modalità «avanti piano» e non più «avanti tutta», come dimostrano le sue parole rilasciate ieri in un’intervista concessa al Messaggero e, anche, quelle del ministro degli Interni, Angelino Alfano, che ieri, invece, ha parlato con il quotidiano Repubblica (“La riforma del Senato può slittare di qualche mese”). QUI però bisogna intendersi. Il premier continua a dire ai suoi facite ’a facce feroce. Almeno, a metà. Infatti, il vero messaggio che arriva dalla war room di palazzo Chigi è: «I voti ci sono, li abbiamo, al Senato. Poi, aggiustamenti in corsa al ddl Boschi sono sempre possibili nel merito ma senza farne crollare l’impianto e solo se condivisi da tutti i gruppi parlamentari, di maggioranza e non». Il ministro alle Riforme, invece, non ha alcuna intenzione di vedersi stravolgere il suo provvedimento: chi l’ha sentita, in questi giorni, sa che la Boschi “non ha alcuna intenzione di vedersi cambiare il suo testo, cui tiene molto, sotto il naso” e che, soprattutto, punta a una “approvazione finale, in terza lettura, rapida, se non rapidissima, e cioè entro l’estate” (vuol dire entro l’8 agosto, quando le Camere chiuderanno per le – meritate? – ferie estive dei parlamentari). Chi, della minoranza dem, ha, invece, parlato col vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, ha capito altro, cioè questo: «Renzi ha espresso disponibilità ad aprire sul merito del testo, elettività del Senato diretta o indiretta compresa, ma solo se noi garantiamo alla maggioranza certezza sui tempi e sui successivi passaggi. Quello della Camera, il terzo, che sarebbe del tutto nuovo, e il quarto finale, per garantire che si possa votare per il referendum a giugno del 2015». Quando si voterà anche per le elezioni amministrative (Milano, Torino, Bologna e, forse, anche a Roma…) e Renzi spera di trainare abbinandolo al voto per le città quello sulla riforma. Morale: sarebbe partita una vera trattativa, e in puro stile «metodo Mattarella» (coinvolgere la minoranza per ottenere risultato, detto anche “andare a dama”), tra Renzi e la sempre agguerrita minoranza dem. Anche perché l’alternativa a questo scenario – alternativa che però la Boschi, che resta sulla linea dura –  caldeggia apertamente, con il premier, – sarebbe di andarsi a cercare i voti uno a uno, al Senato, dove la maggioranza viaggia sul filo degli 8-10 (sette quando va male) voti di scarto. Arruolando i verdiniani. Qui, però, i pareri sono discordi: secondo molti fonti interne al Senato, i verdiniani sarebbero pochi se non pochissimi (“due o tre al massimo: lui e Mazzoni, suo fido scudiero toscano…, altri da FI non se ne vanno”, dice un avvelenato senatore ex azzurro) e anche il tentativo di pescare nel gruppo Misto, zeppo di ex grillini, potrebbe rivelarsi un vero boomerang (sugli ex M5S migliore capacità attrattiva sta dimostrando, da mesi, SeL). MA PERCHÉ ACCADE questo ‘cambio’ di passo, da parte del premier e del governo? Un po’ è il «fuoco greco» che cola da Atene: potrebbe bruciare anche nelle aule parlamentari, teme ora il premier. E, al Senato, la sinistra dem ha presentato una fitta serie di proposte di modifica al ddl Boschi: elettività «diretta» dei senatori e nuovo ruolo del Senato cui affidare «più poteri e più di garanzia». In teoria, per Renzi, tutte eresie. La minoranza, però, è forte di 25 senatori «duri, puri e soprattutto non divisibili, come è stato fatto alla Camera», avverte Federico Fornaro, bersaniano doc, «tra buoni e cattivi. Qui, a seconda di come il governo deciderà di accogliere le nostre proposte siamo tutti “buoni” o “cattivi”». Come dire: Renzi scelga: o il Vietnam o la pace, ma noi siamo e restiamo una «compatta falange macedone». Traduzione: non ci facciamo dividere e isolare, stile modello divide et impera. DEL RESTO, il premier e i suoi sono persone pragmatiche e sanno bene che, a palazzo Madama, la maggioranza cammina sul filo del rasoio. E – avverte Paolo Naccarato, senatore ex Ncd ed oggi esponente del gruppo del Gal, nonché “principe esperto” degli Stabilizzatori – «Matteo sa bene che sono preoccupato e gliel’ho anche detto. Questa riforma del Senato non piace a nessuno, qui dentro, a palazzo Madama: va cambiata. Perché è vero che nessuna opposizione può mandare a casa il governo, al Senato, arrivando a quota 161 voti (il plenum del quorum, dentro il Senato, ndr.) e che abbiamo sempre garantito la tenuta della maggioranza, qui dentro – avverte Naccarato – ma Renzi sa che, ora che siamo davvero a un passo da un risultato storico, il superamento del bicameralismo perfetto, non possiamo mancarlo perché qualche “maestrino” (leggi: la Boschi, ndr.) non vuol cambiare il suo ddl o non possiamo aspettare un paio di mesi in più. Posso garantire che, trovando un accordo ampio, si andrà a votare per il referendum istituzionale consultivo quando e come Renzi ha previsto, cioè a giugno del 2016». Stesso ragionamento di Fornaro. Vietcong e “stabilizzatori”, qui la pensano allo stesso modo. NB. Questo articolo è stato pubblicato il 6 luglio 2015 a pagina 10 del Quotidiano Nazionale