Il Pd e la sua battaglia interna/1. Blitz alla chetichella del segretario Renzi: nello statuto dem nuove sanzioni per i ribelli

19 Luglio 2015 0 Di Ettore Maria Colombo

LA MINORANZA dem gode, da ieri, di un nuovo, sprezzante, nomigliolo: tribù (indiana?) dei «Musi Lunghi»

 

Così l’ha ribattezzata, parlando ieri a Milano, davanti all’Assemblea Nazionale Pd, il segretario-premier Renzi. Che ha semi-ignorato i “minorati’, come li chiamano, simpaticamente, i renziani doc, se non per ripetere i soliti mantra («il Pd non è in crisi», «non passerò due anni a sedare liti interne», «il Pd deve pensare all’Italia», etc.) e, in più, accusarli di un unico, grave, crimine: «l’assenza di allegria».
EPPURE, i vari esponenti della sinistra interna al Pd, proprio ieri, a Milano, erano garruli, se non felici. Pensano di avere ancora molte frecce al loro arco, specialmente nei numeri parlamentari e specialmente al Senato (“siamo 25 e tutti motivati alla guerriglia”, garantiscono; “non sono più di dieci, se va bene, e pronti al compromesso”, replicano i renziani). Sono convinti, i ‘vietcong’, di poter obbligare Renzi a venire a patti, sulla strada delle riforme. Forse, però, nell’ansia della guerriglia futura, si sono dimenticati di riflettere sulla cocente sconfitta subita senza nemmeno colpo ferire. Non hanno studiato, infatti, i noti ‘vietcong’, il ‘cappottino’ che, Statuto in mano, ieri Renzi ha rifilato loro e senza dover sparare un solo colpo. Infatti, nel disinteresse generale, tra afa insopportabile e chiacchiericcio da bar, chi dirigeva i lavori dell’Assemblea (il presidente Orfini, i vicesegretari Guerini-Serracchiani, i presidenti dell’Assemblea Zampa e Scalfarotto) ha fatto votare, a una platea assai distratta, tre norme all’apparenza innocue, ma in realtà killer, delle bombe di precisione. La prima: «in casi di necessità e urgenza il segretario nazionale può intervenire nelle strutture regionali e territoriali adottando provvedimenti di sospensione o revoca» fino a «commissariarle»: la normalizzazione delle Federazioni ribelli (o nel caos) è, di fatto, già bella che pronta e legittimata. La seconda: il segretario può promuovere verifiche del tesseramento e nominare commissari ad acta, replicando così lo schema Roma ed estendendone a piacere i diktat. La terza: il Pd può, finalmente, comminare pene a chi imbroglia sui tesserati, ma pure – anzi, forse, soprattutto – ai suoi ‘ribelli’. Queste, nero su bianco, le sanzioni: «Richiamo scritto, revoca dagli incarichi, sospensione a tempo, cancellazione da anagrafe degli iscritti e Albo degli elettori».
MORALE, altri casi Civati saranno o diventeranno impossibili: chi vota contro, finisce fuori. Invece, Cuperlo e Speranza, gli attuali leader della minoranza, assenti i vari big per noia o indifferenza (D’Alema, Bersani, Bindi, anche Letta), volevano parlare solo di Politica. Speranza insiste sul fatto che «imbarcare i transfughi della destra è un film dell’orrore», Cuperlo paragona il Pd a un «ircocervo» (raffinata citazione togliattiana). Il ministro Martina (ex minoranza, ora leader della pattuglia dei Nuovi Responsabili interni) prova a mediare: «Evitiamo di farci divorare da spiriti divisivi sempre meno comprensibili. La sfida del governo è per tutti». Renzi se ne frega, però, e proprio di tutti: lo Statuto è stato cambiato, amen. Quando prende la parola l’ultimo ‘discolo’ rimasto nel Pd, dopo le uscite di Civati e Fassina, Alfredo D’Attorre, e lo accusa di «voler fondare il Partito della Nazione con Alfano e gli ex di FI», Renzi lo guarda con un misto di disprezzo e commiserazione. Poi, allontana il microfono e, ai suoi vicini di banco della Presidenza, sibila: «Questo è proprio scemo».


NB. Questo articolo è stato scritto e pubblicato il 19 luglio 2015 a pagina 4 di Quotidiano Nazionale