Renzi vuole le unioni civili, e con le adozioni. I centristi alzano le barricate

30 Dicembre 2015 0 Di Ettore Maria Colombo

«SE MATTEO ha detto, come ha detto, che le unioni civili ‘dobbiamo portarle a casa e il 2016 è l’anno chiave per farlo’ state pur certi che sarà così e che le faremo»

La frase di un democrat renziano di alto livello del Nazareno indica la volontà del partito di approvare in tempi dignitosi (politicamente il top sarebbe entro giugno, prima cioè delle amministrative, per godere dell’effetto politico di una legge ‘di sinistra’ approvata prima del voto) il ddl Cirinnà che, però, ad oggi è all’anno zero. Il 26 gennaio entrerà nell’aula del Senato (22 gennaio è il termine per gli emendamenti) dopo aver bypassato le competenti commissioni, Giustizia in testa, dove era rimasto impantanato per mesi. Dopo, ove mai fosse approvato, dovrà passare anche alla Camera sempre che non venga modificato, altrimenti l’iter riparte da capo.
Ieri, il premier, nella conferenza stampa di fine anno, è stato molto netto: «il 2016 sarà l’anno dei valori»; sulla «questione dei diritti (civil partnership, ius soli, servizio civile, etc.) ci metterò la stessa energia che ho messo sulle altre riforme»; e, infine, sono temi su cui «non c’è unanimità di consensi, ma c’è la grande occasione di una discussione seria e senza steccati ideologici. Mi auguri che la discussione sia rapida e i tempi di realizzazione stretti».
«Fin qui tutto bene», direbbe il protagonista di un vecchio film, ma gli ostacoli, sulla strada del varo del ddl Cirinnà restano tutti in piedi.

IL PUNTO più controverso è quello della stepchild adpotion (vuol dire l’adozione del figlio di uno dei partner della coppia esteso all’altro membro della coppia, anche omossessuale): ricordato e sottolineato, ieri, dallo stesso Renzi («nasce come proposta della Leopolda 2012, l’abbiamo appoggiata allora, non ci sarà alcuno stralcio, oggi, dalla legge, ovviamente su questo ci sono opinioni diverse dentro il Pd come in altri partiti»), il paventato rischio dell’adozione di bambini da parte delle coppie omosessuali e, sullo sfondo, quello dell’utero in affitto, agita e turba i sonni dei centristi e dei cattolici presenti in Parlamento (Ncd, Popolari, pezzi di Pd) e facenti parte della maggioranza. In prima fila quelli di Ap, contrari alla radice, peraltro e da tempo, all’intero ddl Cirinnà.

Al di là del fioccare delle dichiarazioni di fuoco intercorse ieri (associazioni gay, laici dem, ex radicali a favore del ddl, centrodestra e centristi ferocemente contrari) conta, appunto, la volontà del premier che punta, dicendo che il governo non metterà la fiducia e che il voto sarà «secondo coscienza», ad approvare il ddl con maggioranze variabili, grillini in testa. I quali, però, pongono le stepchild adoption come un punto irrinunciabile della legge.

La soluzione alternativa, quello di uno stralcio dell’art. 5 del ddl, che contiene il punto citato e più controverso, pur di venire incontro ai centristi di Ap, che minacciano tuoni e tempeste, ma che potrebbero accontentarsi, in cambio di un’opposizione un po’ più soft al ddl di qualche poltrona di sottogoverno (un ministro, un viceministro, presidenti di commissioni, etc.), è oggi la più difficile e meno praticabile.

«Il testo che andrà in discussione in Aula – spiega Micaela Campana, responsabile Diritti nella Segreteria del Pd – è già frutto di una condivisione tra Pd, M5S, Psi, ex M5S e Misto, che comprende anche Sel. Respingeremo i tentativi di chi vuole insabbiare tutto», conclude. Ed è già chiaro, nella nota della Campana, quali sono i confini di quella maggioranza ‘arcobaleno’, quanto variabile e diversa rispetto a quella che regge di solito il governo, cui Renzi punta per approvare il testo del ddl Cirinnà in un Senato dai numeri sempre ballerini.


NB. Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2015 a pagina 4 del Quotidiano Nazionale