D’Alema gioca ‘a perdere’ (Renzi): “E’ sprezzante, arrogante, divide il partito”. E su Roma: “Non voto Giachetti”

6 Aprile 2016 2 Di Ettore Maria Colombo

MASSIMO D’Alema – ‘Lui’ preferisce esser chiamato «Spezzaferro», non «Baffino» – stavolta l’ha studiato e pensato bene, l’assalto finale al «quartier generale» di Renzi.

Tre le mosse decise non come giocando a scacchi, ma alla Sun-Tzu, autore dell’Arte della Guerra («la strategia è la via del paradosso»): attaccare, bastonare, provocare. Uno, attaccare. Chi? Facile. Il premier e il governo, indebolito dallo scandalo Tempa Rossa, e con accuse pesantissime: «La responsabilità dell’emendamento non è di Boschi, ma del premier, sentito il ministro proponente». Come dire ai magistrati: indagate Renzi, la colpa è sua.
Due, bastonare. Renzi lo definisce, non una, ma 3, 4, 5, ‘n’ volte, «sprezzante». Ecco come ne parla, D’Alema, a Otto e Mezzo, ospite di Lilli Gruber e accanto a un Ezio Mauro che – da democratico puro, prima ulivista, poi veltroniano, che era, si è riscoperto dalemiano _ : «Un uomo, Renzi, che divide, che lacera, combatte la sinistra, non ne rispetta la storia, disprezza i fondatori dell’Ulivo (lui, invece, li ha promossi: Prodi in Europa, Veltroni al partito, e lasciamo perdere se è davvero andata così, ndr.), insulta il sindacato, esalta Marchionne, attacca i giudici, ma sbaglia il momento, l’inchiesta non è ancora finita…».
Tre: provocare la reazione, furiosa, del premier, che ama «le risse», come purtroppo si sa. La via maestra, secondo il D’Alema pensiero esplicitato ieri sera ma anche in (molte)  altre precedenti occasioni (ultima in ordine temporale l’intervista al Corsera di metà marzo), è demolirne gli atti e e i provvedimenti di governo. Specie quelli economici e a partire da quel Jobs Act che «mostra il suo lato oscuro, come direbbe una nota saga cinematografica» (che poi sarebbe Star Wars, ma fa più effetto così). D’Alema viola anche il noto pensiero di «non contraddizione»: «Voterò ‘No’ al referendum del 17 aprile – scandisce – e il Pd dovrebbe fare lo stesso, anziché sostenere la posizione ‘indecente’ dell’astensionismo». Come Bersani, cioè, ma riuscendo, anche in questo caso, a dire di Renzi: sei «indecente».
INFINE, e qui c’è il colpo finale, quello che dovrebbe essere il ko tecnico per finire «l’Avversario» e mandarlo, una volta per tutte, al tappeto: rivelare, a domanda su chi voterà a Roma, che Giachetti, e cioè un renziano al cubo che Renzi ha voluto candidare, «non è all’altezza della città» e che «mi prenderò tempo per riflettere e decidere per chi votare» (Giachetti, tranchant, risponderà a stretto giro di agenzia: «D’Alema non mi vota? Meglio così. Se c’è lui si perde sempre!»). Il che non vuol dire che scenderà in campo il suo campione, Massimo Bray, ma che D’Alema sta recapitando, a tutti i «nemici» di Renzi e presenti in ogni schieramento politico, grado e latitudine, è semplice ed essenziale: far perdere tutti, ma proprio tutti, i candidati renziani. Per terremotare Renzi e il renzismo, a partire dal suo sistema di alleanze (Alfano-Verdini), a giugno, con le amministrative.
E poi, al referendum di ottobre sulle riforme istituzionali annunciare coram populo il voto contrario – il suo, di D’Alema e, lui spera, anche di molti altri, dalla minoranza dem in su (Giorgio Napolitano, per dire…) – alle riforme, cuore dell’azione politica di Renzi. Un voto che si sommerebbe a quello degli altri «nemici» del premier per ottenerne, dunque, la defenestrazione finale. Segue, nei sogni di D’Alema, non le elezioni subito, come vorrebbero i grillini e i leghisti (ma non per dire, il centrodestra, berlusconiani e affini, o i tanti giovani deputati, molti del Pd, eletti per la prima volta e che non otterranno la pensione prima della fine del 2017…) ma un bel governo tecnico, o «del Presidente». Con un altro, più sottile,  obiettivo: aver il tempo di cambiare la legge elettorale l’Italicum, dal primo luglio in vigore, e dare peso alle coalizioni e ai partiti «piccoli» e «medi». Perché il sogno, neppure finale, di D’Alema è sempre lo stesso: costruire, ormai «fuori» dal Pd – giudicato come ieri un luogo «inutile, dove non si discute più, si fanno prove muscolari, come succede ogni volta in Direzione, ecco perché non ci metto piede da tempo» – una «Cosa» nuova in cui convogliare tutte le sue energie («Sono e resto un combattente»).
E, contestualmente, far nascere – insieme all’ex Sel, oggi SI, di Fassina, Fratoianni, etc. – un nuovo partito da presentare, appunto, alle prossime elezioni politiche. Certo, non è la prima volta che, anche di recente, D’Alema invita il popolo della sinistra alla scissione (invito che, tanto per cambiare, la minoranza dem fa sempre finta di non sentire…). Lo disse a un convegno di tutte le minoranze (c’erano, per dire, ancora Fassina e D’Attorre) del partito: in quel caso fu la teoria dei “colpetti” che bisognava dare a Renzi per farlo cadere e, insieme, la richiesta di dare vita a una “Associazione per la Rinascita della Sinistra” (identico nome aveva, ai tempi della fine del Pci e della trasformazione in Pds, il gruppo dei dissidenti ingraiani – Ingrao, Tortorella, Magri etc. – che all’inizio non uscirono dal partito di Occhetto, ma che poi lo fecero, sia pure alla spicciolata, dando vita e linfa, negli anni, alla contestuale nascita di Rifondazione comunista (Prc) di Garavini e Cossutta (e, solo dopo, pure di Bertinotti) . Poi, D’Alema intensificò i colpi e le sferzate polemiche, contro Renzi e il renzismo, fino, appunto, alla recente intervista al Corriere della Sera in cui, per la prima volta, parlò a viso aperto di “scissione” percéè il “nostro popolo non si riconosce più in una leadership sprezzante, arrogante, che insulta la storia della sinistra”.
Ora, però, con la comparsata – in puro stile e spirito dalemiano, quello di «disciiamo», il competo blu ministeriale con la cravatta a pallini come se fosse ancora premier, il baffetto che si alza, parole ripetute mille volte come «sprezzante» (Renzi ovvio, mica Lui…) – D’Alema ha, finalmente, completato l’opera. Ora non resta che vedere chi lo seguirà.


NB: L’articolo è stato pubblicato a pagina 5 del Quotidiano Nazionale (http://www.quotidiano.net) il 6 aprile 2016.