Se vince il Sì e se vince il No: cosa può succedere dentro Pd. Scenari di pura fantapolitica (o forse no?)

Se vince il Sì e se vince il No: cosa può succedere dentro Pd. Scenari di pura fantapolitica (o forse no?)

11 Ottobre 2016 0 Di Ettore Maria Colombo
In vista del referendum costituzionale del 4 dicembre, gli scenari
possibili sono, ovviamente, solo due: la vittoria del ‘Sì’ e la vittoria del ‘No’.
Eppure, le possibili incognite relative al post-referendum sono parecchie, sia che vinca il Sì sia che vinca il No. Proviamo a immaginarne alcuni, con il relativo beneficio del dubbio. E a guardare, in particolare, a cosa potrebbe succedere dentro il partito di Renzi, il Pd tra il premier e la minoranza. 

Vince il Sì, Renzi governa, ma come e per quanto tempo? La minoranza se ne va

Se il premier vincerà il referendum, è ovvio che il prosieguo della sua azione di governo non è in discussione. Ma per quanto tempo? Un ‘rimpastone’ di governo  sarebbe la soluzione più probabile: fuori i ministri che hanno dato pessima prova di sé (Lorenzin, Giannini), dentro nuove figure, per lo più femminili, per ridare smalto alla squadra. Ma per quanto tempo governerebbe Renzi? Fino alla scadenza naturale della legislatura, cioè fino ai primi mesi del 2018? Assai difficile. Il desiderio di passare all’incasso sarebbe troppo forte. Anche perché l’Italicum cambierebbe pochissimo, a quel punto. Renzi lo lascerebbe così com’è tranne le obbligate modifiche che sarebbe costretto ad accettare dopo la sentenza della Consulta, che dovrebbe arrivare all’inizio del 2017 (le modifiche più probabili dovrebbero essere l’abolizione dei capilista bloccati e le multicandidature, più difficile, ma non impossibile, che la Corte abolisca il premio di maggioranza in quanto conseguito senza raggiungimento di una soglia di accesso tra primo e secondo turno).
A quel punto la vita della minoranza dem, in vista delle ricandidatura alle elezioni, potrebbe rivelarsi assai difficile. Alla minoranza, che vedrebbe anche allontanarsi – quantomeno a fine 2017, se non dopo – la prospettiva di potersi contare al congresso, non resterebbe che una strada, semi-suicida: iniziare a votare contro ai provvedimenti del governo. Specie al Senato, però, un simile comportamento potrebbe fare la differenza, mandando sotto il governo e costringendolo a imbarcare, in via ufficiale, con tanto di posti di sottogoverno, i verdiniani di Ala. A quel punto, però, presentarsi divisi alle elezioni tra Pd di Renzi e minoranza dem di Bersani-Speranza-Cuperlo (più D’Alema) sarebbe quasi obbligato. Paradossalmente, dunque, una vittoria del Sì potrebbe favorire la scissione nel Pd. Anche perché, dopo la vittoria al referendum, Bersani&co. sarebbero tentati di seguire la strada di D’Alema: costruire una sorta di neo ‘Pds’ alternativo al Pd di Renzi in tandem con la Sel-SI di Vendola-Fratoianni-Fassina o addirittura con un unico partito.

Vince il No: viene giù tutto. La minoranza prova a riprendersi il partito

Renzi come prima cosa si dimetterebbe da premier. La palla passerebbe immediatamente al Capo dello Stato che gli chiederebbe di verificare in Parlamento se ha i numeri per continuare a governare, ma il fuggi fuggi sarebbe immediato. Gruppi minori e la minoranza del Pd negherebbero, con grande probabilità, la fiducia a Renzi e a lui stesso, probabilmente, non converrebbe esporsi a un simile pubblico ludibrio. Renzi, però, non si dimetterebbe di certo da segretario del Pd per poter condurre, a sua volta, i giochi da leader del principale partito presente in Parlamento. L’attuale premier cercherebbe, quasi sicuramente, opporsi a ogni governo ‘istituzionale’ a guida Grasso, Franceschini, Padoan. Renzi potrebbe accettare un breve ‘governo di scopo’ non guidato da lui ma da una personalità a lui vicina e di fiducia (Padoan?) solo per modificare la legge elettorale e andare al più presto al voto sempre in qualità di candidato premier. La minoranza interna, a quel punto, darebbe vita a una durissima battaglia interna per spodestare l’ex premier anche dal ruolo di segretario, chiedendo l’anticipo del congresso del Pd per tenerne uno straordinario nel 2017 e cioè prima di eventuali elezioni politiche anticipate e per scindere, anche dal punto di vista formale, le figure di segretario e candidato premier, ottenendo il risultato finale di disarcionare Renzi da entrambe, magari appoggiando una candidatura di Andrea Orlando (Giovani Turchi) a segretario e una di Enrico Letta a premier. Anche perché con una nuova legge elettorale, sicuramente di impianto proporzionale, e un Renzi assai ammaccato e ridimensionato dentro il Pd, la minoranza scommetterebbe tutto sul riprendersi il partito e favorire un ‘governissimo’ che, dopo le elezioni e con una legge elettorale di tipo proporzionale, rimescoli le carte per dare tempo alla riscossa di un Pd che, ‘derenzizzato’, punterebbe a costruire un ‘nuovo’ centrosinistra (un partito dal baricentro a sinistra, l’alleanza con Sel e altri partiti minori) ma dovendo pagare lo scotto di un altro governo di larghe intese (con una legge di impianto proporzionale, sarebbe impossibile governare).


 NB. Questo articolo è stato pubblicato in forma più succinta sul Quotidiano Nazionale dell’11 ottobre 2016 a pagina 5