Due articoli sulla e nella ‘Casta’: la battaglia tra M5S e Pd sul taglio delle indennità e la dura vita dei ‘portaborse’

23 Ottobre 2016 0 Di Ettore Maria Colombo
Beppe Grillo e, dietro, il suo guru, Gianroberto Casaleggio

Grillo e Casaleggio. il leader dell’M5S e il suo Richelieu sempre nell’ombra…

I tagli anti-casta spiazzano il Pd. Grillo si prepara alla battaglia contro Renzi. L’M5S: «Altro che referendum, dimezzare subito le indennità»

«VEDRETE, ora i grillini ci inchioderanno al muro con questa storia della loro proposta di legge sul taglio delle indennità…»

Il giovane deputato della sinistra dem di Cesena, Enzo Lattuca, erano giorni che lo andava ripetendo ai suoi colleghi. Rischiamo di ‘prendere una musata’, il concetto. E così potrebbe finire. Coi militanti grillini che hanno già prenotato gli scranni delle tribune riservate a chi vuole assistere a una seduta d’Aula di Montecitorio pronti a riempirli e a urlare «Pd vergogna! Ladri!». L’appuntamento è per lunedì, quando il capogruppo del Pd, Ettore Rosato, prenderà la parola e chiederà il rinvio in commissione della proposta di legge a prima firma Roberta Lombardi (M5S) sul taglio delle indennità ai deputati. Morale: figuraccia da difensori della Casta e in diretta tv. Senza considerare che la campagna del Comitato nazionale ‘Basta un Sì’ ha tappezzato l’Italia di manifesti e spot in cui si dice che, nella riforma costituzionale, c’è un netto taglio ai «costi della politica». Alcuni di quei cartelli hanno fatto infuriare la minoranza dem che parla di «populismo becero di Renzi» perché alcuni di essi recitano «vogliamo mandare a casa 315 politici», e cioè gli attuali senatori.PECCATO che, se davvero passasse la proposta grillina sul taglio delle indennità, vorrebbe dire 61 milioni di risparmi per le casse dello Stato (stipendi) e 26 milioni sulle spese. Calcoli di fonte M5S, ma di certo superiori ai 58 milioni di risparmi stimati dalla Ragioneria dello Stato che porterebbe l’intera riforma di Renzi. Insomma, il Pd preferisce, stavolta, tirare di fioretto e non di spada. Parla di «mossa demagogica», ovviamente, ma non urla. E qui bisogna spiegare un paio di inghippi procedurali.
Innanzitutto cosa prevede la proposta di legge Lombardi: vuole tagliare del 50% solo la parte fissa dello ‘stipendio’ del parlamentare, detta ‘indennità’ (da 10mila euro lordi mensili passerebbe a 5mila euro mensili), ridurre la ‘diaria’ (i 3500 euro mensili decurtati di 206,58 euro per ogni giorno di assenza dalle sedute d’Aula), documentare e rendere consultabili i ‘rimborsi spese’ (3.690 euro mensili), abolire il ‘trattamento di fine mandato’, equiparandolo al Tfr dei lavoratori, e abolire i vitalizi.

Tutte le altre proposte sono assai più soft: puntano a parametrare le indennità dall’attuale aggancio allo stipendio annuale lordo dei presidenti di sezione in Corte di Cassazione a quello dei parlamentari europei o dei sindaci delle grandi città.

Il Pd, cioè, per arginare la tempesta, fa melina. Poi mercoledì scorso, all’improvviso, fa votare in tutta fretta, dalla I commissione Affari costituzionali, l’invio del testo in Aula della proposta di legge ma gravata di cento emendamenti e senza relatore. Dicono il loro no solo M5S e Sel, a favore Pd e tutti gli altri, tra cui la Lega.L’INGHIPPO sta nel fatto che quando una proposta di legge arriva in Aula così, la maggioranza dei componenti – che il Pd ha salda, alla Camera – può chiederne il ritorno in commissione causa vizio di esame. Insomma, la discussione generale – come già avvenuto, per dire, con il testo sulla cannabis – si aprirebbe e chiuderebbe in due giorni e il testo tornerebbe di nuovo in commissione per essere lì sepolto. Ma il Pd ha fatto i conti senza l’oste: il tam tam mediatico grillino. «La Casta difende se stessa!», è il grido che già si sente in Tribuna.
NB: questo articolo è stato pubblicato a pagina 2 di venerdì 21 ottobre sul Quotidiano Nazionale 

L’ira dei portaborse: “A noi gli spiccioli. E facciamo di tutto, pure il caffé”

LA PROPOSTA di legge del Movimento cinque Stelle che punta a tagliare della metà l’indennità dei parlamentari? «Per quelli come noi, purtroppo, non cambierebbe nulla». Sono sconfortati, all’Associazione italiana collaboratori parlamentari (sigla Aicp). Il problema, infatti, non sta nella voce indennità dei parlamentari ma in altre due, diaria e rimborsi spese, che neppure la proposta di legge Lombardi, che verrà discussa alla Camera lunedì, intende toccare. In teoria, la diaria è un rimborso delle spese di vitto e soggiorno, circa 3.500 euro. Alla diaria si somma il ‘rimborso delle spese per l’esercizio del mandato’ (3.700 euro alla Camera, 4.150 al Senato). Ma in entrambe le Camere l’importo complessivo è diviso in due quote mensili: la prima dovrebbe servire a pagare i collaboratori; la seconda, forfettaria, non ha bisogno di alcuna rendicontazione. Ed è qui che il deputato – di ogni partito, beninteso – ‘ci marcia’.

UN COLLABORATORE parlamentare, infatti, fa di tutto: segue il lavoro del deputato in Aula e in commissione, prepara interrogazioni e interpellanze, proposte di legge ed emendamenti, segue l’attività pubblica del deputato sulle agenzie di stampa, i siti, i social, etc.

Eppure, viene pagato, se va bene, sui 1.200-1.300 euro. A volte, una parte, circa 800, vengono denunciati, il resto è dato in nero. A tal punto che se sono 165 i collaboratori parlamentari iscritti all’Aicp, l’associazione ne stima non più di 250-300 per quasi mille parlamentari (630 deputati e 315 senatori). Dove finiscono i soldi che le Camere danno ai deputati per pagare i collaboratori? Nelle tasche dei medesimi onorevoli, tranne quei gruppi, come la Lega, che si avvalgono solo e soltanto di collaboratori del gruppo.

LA REGOLA contrattuale è stata, a lungo, quella dei contratti a progetto: il licenziamento in tronco, o con preavviso fulmineo, era frequente. La Camera dei deputati – cui l’Aicp ha chiesto più volte l’elenco di tutti i collaboratori senza ottenerne risposta – dovrebbe vigilare, ma non lo fa, e un ordine del giorno del governo che chiedeva di disciplinare il ‘mercato’ dei portaborse è rimasto lettera morta. Il Jobs Act ha migliorato un po’ la situazione: chi lo applica stipula contratti a tempo determinato, di solito validi l’intera legislatura. «Dobbiamo sempre e solo sperare nella correttezza del singolo», dicono all’Aicp. Infatti, i casi di deputati che hanno licenziato in tronco i loro portaborse si sprecano. I motivi? «Mi rifiutavo di andare a prenderle i figli a scuola o di comprarle le sigarette e portarle il caffè in ufficio», racconta Fabiola, che lavorava per un’importante deputata M5S, o «Mi ha detto che non ero dei loro, né vegano o vegetariano…», sbotta Rossana. Il caso limite è un senatore che ha licenziato in tronco la sua assistente perché, colpita da un cancro all’utero (per fortuna poi guarito), gli aveva chiesto di poter lavorare da casa. L’Aicp chiede solo di «fare come al Parlamento europeo: c’è una lista pubblica, il deputato ne sceglie uno e il Parlamento preleva il costo (circa 2.500-3.000 euro) dal budget e paga, alla luce del sole». Il che, però nel Parlamento italiano, è come chiedere la Luna.


NB. Questo articolo è stato pubblicato sabato 22 ottobre sul Quotidiano Nazionale