E se a far slittare il referendum fosse il ricorso del ‘professor No’ Onida? In attesa della decisione del tribunale di Milano

2 Novembre 2016 0 Di Ettore Maria Colombo
tetto del Quirinale

Il ‘tetto’ del Quirinale, detto ‘Torrino’, dove riceve il Capo dello Stato Sergio Mattarella

 

Mentre la classe politica italiana discetta sull’opportunità o meno di rinviare la data del referendum “causa terremoto” (lo ha proposto, per primo, Pierluigi Castagnetti, ex parlamentare da sempre vicino all’attuale Capo dello Stato, Mattarella, hanno rilanciato l’idea diversi parlamentari dell’Ncd e qualcuno del Pd, ha ripreso la proposta in modo ufficiale il ministro dell’Interno Alfano, Renzi però l’ha stoppata e smentita anche perché il coro delle opposizioni si è subito fatto sentire e tutto contrario) lo svolgimento del referendum è appeso anche – e, forse, soprattutto – a un ricorso giurisprudenziale che potrebbe avere, indirettamente, effetti dirompenti sullo stesso argomento: si terrà davvero, o no, il referendum costituzionale il prossimo 4 dicembre o la data verrà spostata?

L’ATTESA PER LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI MILANO SUL RICORSO DI ONIDA

L’unica certezza è che la decisione del giudice della prima sezione del Tribunale civile di Milano, Loreta Dorigo (cattolica, non iscritta a nessuna corrente della magistratura, uno dei tre giudici che nel 2009 condannò per corruzione in atti giudiziari l’avvocato inglese Favid Mills, accusato di aver ricevuto “almeno 600 mila dollari da Berlusconi” per testimoniare il falso in due processi contro di lui), sui ricorsi relativi al referendum costituzionale arriverà, per ovvi motivi di opportunità, entro il 4 dicembre, data in cui dovrebbero esprimersi gli elettori sulla riforma costituzionale (il decreto del del presidente della Repubblica che ne fissava la data è stato emanato lo scorso 27 settembre).

La legge, infatti, paradossalmente. non fissa alcun termine entro il quale il magistrato è obbligato a pronunciarsi sui due ricorsi pendenti: quello presentato da un pool di avvocati (Tano e altri, pendente da giugno, per sospetta incostituzionalità) già discusso il 20 ottobre e l’altro firmato dal professore ed ex presidente della Consulta, Valerio Onida, insieme alla professoressa Barbara Randazzo che è stato oggetto di un’udienza che si è svolta giovedì della scorsa settimana e che è durato due ore, ascoltando entrambe le parti (ricorrenti e Avvocatura dello Stato). E’ molto probabile ovviamente che il giudice Dorigo sciolga la riserva su entrambi i ricorsi lo stesso giorno, e a breve, ma non è escluso che lo faccia in due momenti differenti. Entrambi i ricorsi chiedono, in sostanza, che la Corte Costituzionale valuti la legittimità costituzionale della legge istitutiva del referendum (la numero 352 del 1970) nella parte in cui non prevede l’articolazione dei quesiti in caso di referendum approvativo.

I MOTIVI DELLA RICHIESTA DI ONIDA E RANDAZZO

Secondo i legali ricorrenti, siamo di fronte a una violazione della libertà di voto, prevista dalla Costituzione, perché, per esempio, l’elettore potrebbe essere a favore dell’abolizione del Cnel ma contrario alla cancellazione del Senato così com’è disegnato ora dalla Costituzione. La legge sottoposta a referendum, sostiene Onida, “ha oggetto e contenuti assai eterogenei, tra di loro non connessi o comunque collegati in via generica o indiretta che riflettono scelte altrettanto distinte, neppure tra loro sempre coerenti”. Insomma, il ricorso di Onida è contro l’eterogeneità dei quesiti mentre con un quesito unico “si viola la libertà di voto degli elettori garantita dagli articoli 1 e 48 della Costituzione”. Onida e Randazzo lamentano anche altre mancanze presenti nel decreto che ha fissato la data del referendum. Sempre per citare Onida, “il referendum viene definito confermativo ma ma tale definizione non esiste nella legge che regola questa consultazione e comunque non può essere concepito come se fosse una ratifica popolare di una deliberazione parlamentare complessiva”. Infine, sempre per Onida, “il decreto (di emanazione del referendum) fa riferimento al titolo della legge, ma la legge numero 352 del 1970 è chiara: nel caso di referendum sulla su leggi di revisione costituzionale, nel quesito vanno indicati gli articoli della Carta sottoposti a modifica”.

IL PARERE CONTRARIO DELL’AVVOCATURA DELLO STATO

Durante le precedenti e ricordate udienze, l’Avvocato dello Stato (cioè del governo), Gabriella Vanadia, che rappresenta la Presidenza del Consiglio, ha chiesto il rigetto dei ricorsi: “Se lo scopo finale di queste domande è quello di incidere sulle prerogative politiche – ha argomentato il legale – non e’ lecito e va respinto perché un procedimento di questo tipo non può incidere sulla politica”. Inoltre, l’avvocato dello Stato, Vanadia, ha fatto presente che, anche se il giudice dovesse accogliere il ricorso, la Corte Costituzionale non potrebbe sospendere il referendum perché questo potere è previsto solo nel caso di referendum relativi a conflitti tra Stato e Regioni.

LA DECISIONE DEL GIUDICE DI MILANO E I POSSIBILI TEMPI

Il giudice ha deciso di non riunire i due ricorsi perché presentati in momenti distinti e anche perché, pur chiedendo la stessa cosa, presentano qualche profilo di diversità. Dopo la decisione, la ‘partita’ potrebbe comunque restare aperta dal momento che chi perde avrà la chanche di depositare un reclamo per un giudizio di appello. Anche in quel caso, i tempi dipenderanno dalla discrezionalità del Tribunale e si potrebbe arrivare, paradossalmente, a ridosso del voto ancora nell’incertezza. Nessuna comunicazione ufficiale è prevista da parte del Tribunale i cui vertici fanno notare che si tratta di una “questione tra parti private” e che non è prevista la pubblicità degli atti nel rito civile.

Il giudice ordinario ha tre strade davanti a sé: accogliere l’istanza, respingerla oppure adottare una decisione interlocutoria, come per esempio chiedere a Onida di citare anche i comitati referendari, nel ricorso, un’omissione sollevata dall’Avvocato dello Stato.

In ogni caso, secondo attendibili previsioni del mondo politico, la decisione del giudice di Milano dovrebbe arrivare in pochi giorni: a partire da oggi e non oltre venerdì di questa settimana.

I DIVERSI PARERI SU EVENTUALE DECISIONE DELLA CORTE E LA SUA LEGITTIMITÀ

Il problema, di natura squisitamente giurisdizionale, è anche un altro. E cioè se la Corte costituzionale, accogliendo il ricorso di Onida e Randazzo rimesso ad essa dal tribunale civile di Milano, possa o meno avere il diritto/dovere di rimandare la data del referendum in attesa di pronunciarsi sul ricorso. Secondo Onida, “il tribunale civile non può che rimettere la decisione alla Corte ma non sospendere l’atto. Potrebbe farlo invece la Consulta utilizzando, anche per analogia, i poteri di urgenza che già le si riconoscono, potendo sospendere l’efficacia delle leggi in caso di conflitto tra Stato e Regioni e gli atti impugnati con un conflitto di attribuzioni”. E, visto che la Consulta avrebbe bisogno di almeno alcune settimane per decidere, la sospensione del decreto di indizione del referendum sarebbe inevitabile. Secondo l’Avvocatura dello Stato, invece, la Consulta non avrebbe teoricamente per legge il potere di sospendere il referendum. Certo è che nel caso di invio degli atti alla Consulta da parte del Tribunale milanese e di non sospensione della consultazione, la Corte avrebbe tempi strettissimi per arrivare a una decisione prima del 4 dicembre.


NB: Questo articolo è stato pubblicato il 2 novembre 2016 sulla versione on-line di Quotidiano.net