Faccia a faccia Renzi-Mattarella. Al Colle si riflette: senza i voti del Pd nessun governo è possibile, anche se vince il No

24 Novembre 2016 0 Di Ettore Maria Colombo

IERI pomeriggio il premier Matteo Renzi è salito al Colle e ha visto, per più di un’ora, il capo dello Stato, Sergio Mattarella. Formalmente, il colloquio serviva a preparare il Consiglio supremo di Difesa in programma oggi. Inoltre, sul tavolo c’erano altre due questioni urgenti e pressanti: la situazione caotica che regna nella Ue, a livello di rapporti tra governi, e l’epocale elezione di Trump. Ma, certo, la situazione politica italiana e gli scenari post-voto si sono presi buona parte del colloquio.
In realtà, Renzi e Mattarella si vedono almeno una volta al mese. Nonostante le differenze di età, carattere, formazione, i due si stimano e Mattarella ha di certo il profilo del «riformatore» costituzionale, anche se non, ovvio, del «rottamatore». Paradossalmente, la «sfinge», in questo momento, è… Renzi.
«COSA faccio se vince il No? Lo decido il 5 dicembre», ha detto ieri sera il premier, a Porta a Porta. «Che cos’abbia in testa», ammette uno dei suoi, «lo sa solo lui». Al Quirinale regna la stessa incertezza: cosa vuole fare davvero il premier, in caso di vittoria del No al referendum? Accetterà il reincarico che, comunque, Mattarella gli proporrebbe, come prima mossa? Lo rifiuterà chiedendo di investire dell’onere di fare un nuovo governo un suo ministro di stretta fiducia come, ad esempio, Padoan?
Si dichiarerà, questo è certo, indisponibile ad appoggiare ogni «governicchio tecnichicchio», come lo bolla, e ogni «governo debole», come ha ammonito Guerini (sulle cui parole, che Mattarella non ha mai realmente stigmatizzato, Renzi ha rassicurato: Sergio, le prerogative tue e del Quirinale non le tocca nessuno). Ma ancora: il premier chiederà che si torni al voto al più presto, una volta cambiata, in tre-quattro mesi al massimo, la legge elettorale? O accetterà un governo istituzionale di medio periodo che traghetti il Paese fin quasi alla scadenza naturale della legislatura?
Domande nient’affatto peregrine, quelle che si fanno al Colle. Perché – ammettono diversi osservatori ed esperti di cose quirinalizie – «la volontà di Renzi è cruciale. Fin quando l’attuale premier potrà disporre della forza d’urto di 400 parlamentari del Pd, tra Camera e Senato, senza di lui e senza il Pd – è il ragionamento – non si può fare alcun governo alternativo né creare maggioranze spurie».
Sempre da Porta a Porta, Renzi ha ribadito che «il giorno in cui si va a votare lo decide il presidente della Repubblica», aggiungendo però un altrettanto rivelatore «sulla base delle decisioni del Parlamento». E il Pd ne è parte preponderante, di questo Parlamento, con i suoi 400 parlamentari, sia pure solo grazie al Porcellum.
Del resto, che vinca il Sì o il No, non solo tutti i principali partiti o anime della coalizione di governo (centristi, minoranza Pd) chiedono già ora (ieri lo hanno ridetto sia Alfano che Bersani che Franceschini) a Renzi di restare capo del governo. Ma anche dall’opposizione si chiede o di «sedersi a un tavolo con Renzi» (Berlusconi) o, comunque, di «fare la nuova legge elettorale» (Di Maio). Ne consegue, a maggior ragione, che «senza Renzi e senza il Pd non esiste governo», si ripete dal Quirinale, «né tecnico né di altro genere».
POI, certo, entro fine gennaio, arriverà la sentenza della Consulta sull’Italicum (ergo, bisogna attenderla, si dice dal Colle) e, a giugno, l’Italia ospiterà cruciali eventi internazionali (firma del 60 esimo dei Trattati di Roma, G7 a Taormina a giugno). La finestra per un eventuale voto anticipato è, cioè, molto stretta: va da marzo ad aprile-maggio, al massimo, del 2017. Ma non è affatto vero che, come suggerisce Berlusconi, «se vince il No non cambia nulla, lo pensa pure Mattarella» (e su questo al Colle si scuote forte la testa). E forse non è neppure vero che Renzi vorrebbe far precipitare il Paese alle urne. Non a caso, a un amico, proprio Guerini ieri spiegava: «Io ho drammatizzato lo scenario per stoppare gli scenari post-voto tutti da larghe intese, se vince il No». Si vedrà.
Infine, c’è da registrare che, a palazzo Chigi, è tornato il sorriso. I sondaggi non si possono pubblicare, ma girano tra le mani e, soprattutto, hanno girato verso: sono tornati a segnare il bel tempo. «Il Sì è a un soffio dal No, abbiamo invertito la tendenza e senza neanche contare il voto degli italiani all’estero», dice un renziano doc, che poi fa di conto: «Con l’affuenza al 55% e 14 milioni di Sì abbiamo vinto». E solo con il Sì, il Colle si riposerebbe.


NB. Questo articolo è stato pubblicato su Quotidiano Nazionale il 24 novembre 2016 a pag. 4