Renzi ora teme l’assedio della Corte: “Nel mirino ci mettono pure l’Italicum” La legge elettorale verrà discussa a gennaio ed è già a rischio bocciatura

27 Novembre 2016 0 Di Ettore Maria Colombo
tetto del Quirinale

Il ‘tetto’ del Quirinale, detto ‘Torrino’, dove riceve il Capo dello Stato Sergio Mattarella

MATTEO Renzi ha iniziato, ieri, la «settimana decisiva» per la sfida referendaria «che può cambiare il Paese»

 

Tra le categorie dei ‘cattivi’ che, per il premier, bloccano il Paese e vogliono mantenerlo «impantanato» per «mantenere la Casta», «vivacchiando tra veti e controveti», rispunta «la burocrazia», storico nemico del Renzi prima ora, quello della rottamazione. Il pensiero corre subito alla sentenza della Consulta che ha bocciato la riforma Madia, peraltro già impallinata dal Consiglio di Stato. Renzi, l’altro ieri, a caldo, aveva detto: «Non commento la sentenza della Corte, ma il Paese così è ingovernabile. Siamo circondati da una burocrazia opprimente e quanto accaduto è il suo trionfo».

Ieri, peraltro, sono intervenuti, ad adiuvandum, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti, che ha citato il caso come «un motivo in più per rimettere mano al Titolo V» e il governatore campano De Luca, schieratissimo per il Sì («il rinnovamento radicale della pubblica amministrazione è vitale»). Il bersaglio di premier e renziani doc è chiaro: non esiste solo a Bruxelles una lobby anti-riforme, quella degli «euroburocrati» che preoccupano Renzi almeno quanto essi sono preoccupati da lui, ma anche una potente lobby di burocrati italiani. Più che alti papaveri e boiardi di Stato, per Renzi si annidano nelle fila della magistratura: pm ‘d’assalto’ schierati per il No, Csm, Consiglio di Stato e, appunto, Consulta. 

Morale renziana: «La lobby dei burocrati di Stato boccia la riforma Madia e gli euroburocrati cercano di innervosirmi con i loro richiami e agendo sullo spread…». La Consulta, in particolare, è finita nel mirino e viene giudicata «un coacervo di antipatizzanti di Matteo», dicono i suoi, tra giudici grillini, conservatori e di sinistra. Persino un solitamente cauto Luigi Zanda, capogruppo del Pd al Senato, frequentatore assiduo delle più alte cariche dello Stato, dice che «la Corte avrebbe fatto meglio a rinviare la sentenza e a dimostrare la dote della prudenza». Ma proprio il riferimento alla «prudenza» esercitata dalla Consulta sull’Italicum sembra volere, in realtà, esorcizzare l’altro rischio.

QUANDO la Corte, a fine gennaio, valuterà l’Italicum, potrebbe non solo cassarlo (in tutto o in parte), ma adottare, come sistema base, quel Consultellum che, causa bocciatura del Porcellum, vige al Senato: un proporzionale puro, sia pure con soglie di sbarramento. Insomma, non solo la bocciatura dell’Italicum e del suo impianto maggioritario sarebbe nelle cose, ma il sistema «ideale» sarebbe quello del redivivo Senato (nel caso vincesse il No, ovviamente), cassando ogni tipo di «premio» maggioritario, anche se piccolo. E dato che l’elettorato attivo di Camera e Senato è diverso (18 e 25 anni) anche se Renzi puntasse – come continua a far dire ai suoi – a un governo Padoan «a scadenza certa» per andare al più presto a votare, sempre in caso di sconfitta al referendum, l’unica soluzione possibile per governare il Paese dopo il voto sarebbero le larghe intese coi centristi e Berlusconi. Centristi che, messaggero Alfano ma ideatore Verdini, già corteggiano il Cavaliere per sposare l’idea di un Mattarellum «rovesciato»: 400 seggi con il proporzionale e 200 con il maggioritario. Un altro modo per arrivare all’obbiettivo della Consulta: restaurare, con il proporzionale, le larghe intese e le vecchie burocrazie.

LO SCENARIO vedrebbe Renzi all’opposizione, pronto a «cannoneggiare» ogni esecutivo tecnico naturaliter anti-Renzi, come ribadito dai ministri Delrio e Boschi. Gli scricchiolii tra i «diversamente renziani», però, già si avvertono. L’altro giorno, in Transatlantico e a portata di orecchio di giornalista, il ministro Franceschini si sfogava con i suoi: «Matteo è un irresponsabile» (pausa) «a pensare di chiamarsi fuori dal governo se vince il No», cioè a voler mollare. Sembra una petizione degli affetti, ma suona come una minaccia.


NB: Questo articolo è stato pubblicato il 27 novembre 2016 a pagina 15 di Quotidiano Nazionale