Il totoministri del Governo Gentiloni, quasi una fotocopia del governo Renzi. Giannini, Poletti, Boschi: sorte segnata

11 Dicembre 2016 0 Di Ettore Maria Colombo

TANTO PER CAMBIARE, lo scontro tra il premier uscente, che ieri ha continuato a ricevere ministri e big (Orlando, Martina, Padoan e, naturalmente, il premier in pectore Gentiloni) del partito a palazzo Chigi in una sorta di curiose e improprie ‘consultazioni parallele’ – che di certo non avranno reso felice il Capo dello Stato – e il ministro e leader di Area dem, Dario Franceschini, è stato durissimo anche ieri. Renzi – escluso di netto ogni ipotesi di Renzi bis che Mattarella potrebbe lo stesso provare, almeno formalmente, a chiedergli oggi – punta a un governo a guida Gentiloni «fotocopia» dell’attuale, con tutti i ministri uscenti riconfermati e nessun big di peso del partito perché ha davanti a sé un’unica opzione: governo di scopo per fare la legge elettorale, al massimo entro febbraio, congresso anticipato del Pd, al massimo entro marzo, e voto anticipato, al massimo entro giugno. Invece, Franceschini vuole un governo con «nomi di peso» e «che duri». Se non fino a fine legislatura, febbraio 2018, quantomeno che arrivi all’estate e, se possibili, la scavalli per arrivare al voto «il più tardi possibile» (ottobre 2016?), dicevano ieri i suoi. Per ora, sembra che il braccio di ferro l’abbia vinto Renzi, ma non è detta l’ultima parola almeno fino a quando Gentiloni non leggerà, si presume lunedì, la lista dei ministri e non giurerà nelle mani del Capo dello Stato, si presume martedì, per arrivare al voto di fiducia alle Camere nella giornata di mercoledì e potersi presentare al Consiglio Europeo del 15 dicembre (giovedì) in carica, con tutta la squadra di governo e la fiducia già incassata.
Quasi tutti i ministri attuali, dunque, dovrebbero essere riconfermati sia perché «hanno ben meritato», come sostengono i renziani e anche gli altri big dem, sia perché alcune caselle saranno «prigioniere» degli equilibri interni al Pd e di quelli della maggioranza. Una maggioranza che, peraltro, sarà ‘allargata’ a due gruppi minori ma cruciali, al Senato, quello di Ala (i verdiniani, 18 al senato) e quello di Gal (14 senatori, un fritto misto ed eterogeneo di gruppi e sottogruppi) più altri gruppi centristi minori (Popolari-Demos di Dellai e Tabacci, Psi di Nencini, pezzi del gruppo Misto alla Camera fatto di ex-Psi, Idv, etc) che dovrebbero assicurare una vita assai facile, e assai meno stentata, per paradosso, di quella dello stesso governo Renzi (maggioranza Pd+Ncd+Popolari+Sc+gruppi minori) che, almeno al Senato, su alcuni provvedimenti correva sul filo dei 168-169 voti (quorum 171).
PIÙ FACILE, perciò, dire chi resta, nel nuovo governo Gentiloni. Dario Franceschini ai Beni culturali, Piercarlo Padoan – il primo nome che avrebbe voluto Mattarella, a lungo nel toto-premier – all’Economia. Andrea Orlando, leader con Orfini dei Giovani Turchi, non si muove dalla Giustizia, Maurizio Martina (capofila di «Sinistra è cambiamento», lealisti di sinistra con Renzi) dall’Agricoltura, Graziano Delrio dalle Infrastrutture, Carlo Calenda dallo Sviluppo economico, anche se è girata voce di un suo spostamento agli Esteri, né Roberta Pinotti (franceschiniana) si sposterà di un millimetro dalla casella della Difesa. Per quel che riguarda i tre ministri di Ncd, Angelino Alfano all’Interno  – anche se gli ultimi rumors parlano di un suo clamoroso spostamento agli Esteri – , Enrico Costa alla Famiglia e Beatrice Lorenzin alla Salute, nessuno si muoverà da lì. La Lorenzin era finita in bilico, anche per i continui attacchi di Verdini, ma è stato difesa sia da Alfano che da Renzi che ne ha apprezzato l’operato di ministro e l’impegno nella campagna per il referendum. Né Gianluca Galletti (Udc) si muoverà dall’Ambiente a meno che non vada all’Agricoltura per sostituire Martina che andrebbe a fare il vicesegretario unico del Pd mentre Realacci (ambientalista storico, oggi Pd, grande amico di Gentiloni) potrebbe andare all’Ambiente.
SORTE segnata, invece, per il ministro all’Istruzione Stefania Giannini. Mattarella avrebbe spezzato una lancia in suo favore, ma Renzi è stato irremovibile: imputa a lei il fallimento della riforma «La buona scuola» e i tanti voti persi tra gli insegnanti al referendum costituzionale. Il suo posto sarebbe già della democrat franceschiniana Francesca Puglisi.
Anche il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, va verso l’addio. Ha problemi di salute, pare, ma subisce il giudizio negativo di Renzi che vuole, al suo posto, «la mia sindacalista preferita». Si tratta di Teresa Bellanova, ex Cgil riformista, oggi viceministro allo Sviluppo economico, dove ha gestito e chiuso con successo molte crisi aziendali e schieratissima per il Sì. L’alternativa è che al ministero del Lavoro vada il sottosegretario di palazzo Chigi, Tommaso Nannicini, renzianissimo, mentre la Bellanova si aprano le porte di un dicastero tutto nuovo (anche se, per quanto riguarda la Prima Repubblica, assai ‘vecchio’), il Sud. Anche Marianna Madia è stata in bilico a lungo, ma dovrebbe restare al suo posto: troppo delicata la riforma della Pa da rifare e il contratto del Pubblico impiego da chiudere. Se Piero Fassino non riuscisse, come pare, andare agli Esteri, quel dicastero sarebbe per lui.
IL MINISTRO alle Riforme, Maria Elena Boschi, è stata data per giorni, in caduta libera, ma nelle ultime ore le sue quotazioni sono molto risalite. Renzi le avrebbe detto, molto schiettamente, «decidi tu cosa vuoi fare, potresti andare al partito o al gruppo della Camera a ricoprire l’incarico di capogruppo o di vice». Lei è ancora incerta tra il restare, mantenendo i Rapporti con il Parlamento, e tornare a fare la deputata semplice. Le Riforme potrebbero essere scorporate e affidate al dem (franceschiniano) Lele Fiano oppure all’attuale capogruppo alla Camera, Ettore Rosato, ma . Sarebbero, quindi, uno di quest, dunque, a condurre le trattative con gli altri partiti per una nuova legge elettorale ma c’è anche un dubbio che si aggira sia al Quirinale che al Nazareno: “Che senso ha fare un ministero per le Riforme se si sa già che, a fine legislatura, non ci saranno riforme?”.
Ancora del tutto aperta, a ieri sera, la fondamentale casella degli Esteri: a lungo si è parlato di Piero Fassino, sponsorizzato da Franceschini, di cui Fassino è alleato in Area dem, ma Renzi non vuole, appunto, «nomi pesanti in dicasteri pesanti». La scelta cadrebbe su un tecnico che ha svolto la sua carriera all’ombra della Farnesina: Elisabetta Belloni, ambasciatrice, nonché prima ambasciatrice donna al ministero degli Esteri, molto stimata dall’ex premier come dal nuovo, l’uscente titolare degli Esteri, Paolo Gentiloni. Infine, appunto, qualche posto per Ala: si parla di un ministero per Marcello Pera, filoso, ex berlusconiano ed ex presidente del Senato che ha guidato i comitati per il Sì al referendum costituzionale formati dai centristi, e di una promozione per il viceministro Enrico Zanetti (formalmente ex Sc, Cittadini per l’Italia, ora alleato con Ala) ora in forza all’Economia.
SE ne andrebbero via con Renzi, invece, alcuni suoi uomini chiave in posti minori ma cruciali: Tommaso Nannicini (se non va al Welfare) e il viceministro Claudio De Vincenti. Confermati, da Gentiloni, il portavoce storico di Renzi, che lo ha seguito dal Nazareno a palazzo Chigi, Filippo Sensi (@nonfup su Twitter), e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti, uomo chiave del suo governo. Nonostante alcune voci danno, nel Pd, Lotti in uscita per evitare una continuità mediatica «troppo marcata», la sua presenza nel governo Gentiloni, con in più anche la delega sui Servizi segreti, strappata a Marco Minniti, sarà un’ipoteca sul nuovo esecutivo. Un governo Gentiloni “quasi fotocopia”, appunto.


NB: questo articolo è stato pubblicato l’11 dicembre 2016 a pagina 3 del Quotidiano Nazionale