Gentiloni fa il controcanto a Renzi. Nel Pd i tamburi di guerra covano sotto la cenere

29 Ottobre 2017 0 Di Ettore Maria Colombo

Controcanto di Gentiloni a Renzi: un altro programma e un’altra coalizione?

In gergo politico si chiama ‘controcanto’. E’, di fatto, quando un leader nascente fa un discorso che, pur nei toni è il più possibile amichevole e friendly verso il leader calante, nei fatti ne risulta un contrappunto deciso e certosino. E’ quello che ha fatto, ieri, a Portici, parlando alla conferenza programmatica del Pd, il premier attuale, Paolo Gentiloni, nei confronti del leader del suo partito, Matteo Renzi. Il suo discorso, letto con voce ferma e autorevole (ma all’inizio gli erano persino caduti i fogli dal leggio) era in sette punti.
Uno. “Abbiamo, come Pd, sulle spalle la responsabilità del governo oggi e siamo il solo perno possibile del governo di domani”. Due. “Dobbiamo fare gioco di squadra e stare uniti e lo dico ai tanti ultrà delle divisioni del Pd”. Tre. “Dobbiamo darci l’assetto più largo e competitivo possibile, alle prossime elezioni: largo e aperto verso il centro come verso la sinistra per vincere e governare perché Decoubertin non è e non sarà mai nel nostro Pantheon”. Quattro. “Il nostro dovere è una conclusione ‘ordinata’ della legislatura” (e, se qualcuno non avesse capito, “il presidente Mattarella è il nostro faro e il nostro garante”).  Cinque. “Faremo di tutto per portare a casa lo ius soli” (seguono ben due citazioni, nello stesso discorso di neppure trenta minuti, del ministro Minniti e di quanto lavora bene). Sei. “Frequentiamo troppo i vincenti e non i perdenti della globalizzione, invece dobbiamo stare dalla loro parte, combattere la malattia della solitudine nella globalizzazione come dice Baumann” (e chi pensa che il Pd sia stato troppo dalla parte di Marchionne e poco con gli operai ci pensi su). Sette, colpo finale, con tocco da maestro e palla in buca: “Noi dobbiamo essere quelli che stanno dalla parte della Ue e dell’Europa, che ci scommettono sopra e lavorano dentro. La campagna contro l’Europa lasciamola fare agli altri”.
Paolo Gentiloni, premier “per caso”, come dice lui stesso, in sette punti demolisce, di fatto, l’intera strategia renziana. Almeno tutta quella delle ultime settimane, dal treno in poi. Così è, se vi pare, il pensiero politico di un leader politico che, se mai è stato “timido, introverso e riservato”, come lo hanno sempre descritto gli amici (i gentiloniani sono una specie rara: sono pochissimi, tipo Realacci, e sono per lo più muti), ha smesso di esserlo. Gentiloni ieri è venuto a Portici con, al seguito, solo la moglie e i suoi più fidati collaboratori (l’estroverso Sensi, l’introverso Funicello) e ovvio la scorta, ma ha dato diverse zampate al ‘Renzi-pensiero’ e alla sua visione del mondo. Senza mai citare l’affronto e l’affondo subito da Renzi sulle banche e contro la nomina di Visco e, tantomeno, la ‘diserzione’ organizzata dai renziani dal cdm. Una di quelle mosse che a Gentiloni fanno venire l’orticaria. Ma il suo silenzio sullo scontro più grave con Renzi – del resto se ne avesse parlato le conseguenze sarebbero state fragorose e drammatiche –  non gli ha impedito di tracciare un quadro assai diverso da quello di Renzi su alleanze, programmi, idealità, finalità dell’azione di governo e compiti del Pd.
Poi, certo, i suoi, come i renziani spergiurano che, tra loro, “l’intesa è perfetta, sono una squadra, lavoreranno insieme da qui alle elezioni”, ma l’impressione data ieri è diversa. In più, ci si è messo anche il ministro all’Interno Minniti. Non solo ha rivendicato (anche lui!) che bisogna approvare lo ius soli (Renzi non lo dirà mai, ma quella legge non la vuole perché, come dice spesso ai suoi, “fa perdere voti”), ma ha a sua volta ribadito, con un discorso da ex comunista a suo modo perfetto, che “è necessaria una grande alleanza riformista oltre i confini del Pd per vincere e governare”. Commento acido di Beppe Fioroni: “Minniti terremotò il governo Prodi e l’Unione”. Renzi, da ieri, non è più il solo leader che il Pd ha a disposizione. Volendo, c’è Gentiloni.


La guerra interna al Pd cova sotto la cenere. I renziani fingono: ‘tutto va bene’

Il discorso di Gentiloni? Bellissimo, forte, alto. Paolo e Matteo sono una squadra e lo dimostreranno in campagna elettorale. Alle elezioni ci presentiamo uniti per vincerle”. Così, all’unisono i deputati toscani David Ermini e Simona Bonafé, due renziani di ferro, a fine serata, quando a Portici ormai è quasi notte, nel commentare le parole del premier. Sono seduti tutti vicini tra loro i pretoriani del renzismo. Spicca il vicesegretario e ministro Martina che della conferenza di organizzazione del Pd è stato l’attento regista.  ‘Tutto va bene, madama la marchesa’ è il loro leit-motiv. Anche dallo staff si Gentiloni arrivano infinite dosi di miele: “Tra Paolo e Matteo la stima è intatta, sono una squadra. Chi pensa il contrario è fuori strada”. E c’è pure la photo opportunity sul treno Destinazione Italia, fermo nella stazione di Portici. Renzi e Gentiloni salgono attorniati – amichevolmente ? – dal presidente del partito Orfini (“Ora Orfini ci fa una relazione sulle banche”, scherza Renzi, ma Gentiloni non ride), più Martina, Bellanova, Rosato. La comparsata serve a dimostrare che ‘quel che è stato è stato’.
Quel che è stato, però, non è stata cosa da poco. Il cdm di venerdì sulla nomina di Visco disertato da tutti i renziani. Minniti furibondo. Gentiloni basito. Orlando inviperito. “Chiudiamo una settimana difficile – riconosce, con franchezza, parlandone con un amico, il coordinatore della segreteria dem, Lorenzo Guerini – in cui abbiamo fatto bene a tenere il punto (leggi: la guerra su Visco e banche, ndr). Adesso, però, basta polemiche. Complotti contro di noi? Non scherziamo. I numeri li abbiamo noi, quindi calma e gesso. Guardiamo avanti”. Ma se è vero che, negli organismi di partito, i numeri li ha Renzi, che fine ha fatto il ‘cumpluttuni’ che Franceschini e Orlando dentro il partito e molti altri fuori starebbero ordendo ai danni di Renzi? Un twitt del ministro ai Beni culturali dice quello che il leader di Area dem pensa dei retroscena dei giornali (QN incluso): “Leggo di resa dei conti nel Pd dopo le elezioni siciliane. Sorry, lavoro per unire e allargare il campo,non certo per dividere ancora di più”. Insomma, non è successo niente.
Eppure, Orlando si aggira nervoso e perplesso in sala e i suoi, come Davide Marantelli, borbottano: “Così non si fa”. Michele Emiliano si presenta all’improvviso, non previsto, e si chiude per oltre un’ora  sul treno, con Renzi: pare sia stato riportato alla ragione con la promessa di molti seggi. Per non dire del ministro Marco Minniti che fa un discorso anche più duro di quello di Gentiloni sui temi (ius soli) e sulle strategie (“Serve un Pd largo e inclusivo”). Chissà, magari è stata la splendida giornata di sole e la splendida cornice della stazione di Portici a rasserenare gli animi. Renzi si prende sottobraccio Minniti per una passeggiata sul lungomare, scherza con i fan, si porta Minniti e Delrio sul treno per il Facebook live della consacrazione del nuovo status interno al Pd (‘noi viviamo in pace’). Insomma, tutto va bene. In attesa delle elezioni siciliane.


NB: I due articoli sono stati pubblicati il 29 ottobre 2017 su Quotidiano Nazionale