Renzi chiude il Lingotto: “il Pd fa da solo” e torna la vocazione maggioritaria. Caso Lotti: “il garantismo vale per tutti”

14 Marzo 2017 0 Di Ettore Maria Colombo

Renzi chiude il Lingotto: “Gli scissionisti non ci distruggeranno, altri neppure”

«OGGETTIVAMENTE c’è stato, nelle scorse settimane, il tentativo di distruggere il Pd, approfittando della debolezza di una leadership, la mia. Ma questa comunità non si rompe». Matteo Renzi inizia così il discorso di chiusura della tre giorni del Lingotto. Parole che riecheggiano quelle, dette giorni fa, dal presidente del Pd Matteo Orfini. Certo, Renzi assicurerà poi, nel backstage, che «ce l’avevo con gli scissionisti, non fatevi venire strani pensieri», ma molti pensano, appunto, all’azione della magistratura, ai Poteri forti già messi all’indice da Orfini, ai ‘giornaloni’ come li chiamava, con disprezzo, Bettino Craxi, ai circoli della ‘buona’ (o ‘cattiva’?) finanza e ai loro salotti. Per non dire dei gufi di Bruxelles.MA LA DENUNCIA del ‘compluttuni’ e pure la polemica sulla giustizia è solo un attimo del discorso finale di Renzi. Il «Maradona del Pd», come lo chiama il suo antico mentore Delrio, è assai soddisfatto. Evoca l’unità del partito, «una comunità solida» e, soprattutto, non si aspettava così tanta gente, almeno cinquemila persone, il calore dei militanti per un leader ‘ammaccato’ persino negli affetti più cari. E gli endorsement – di cui oggi, ha bisogno come il pane – anche ingombranti, di personalità come Fassino e Chiamparino, dei filosofi ex Pci Vacca e De Giovanni, dei molti ministri che ne hanno sposato la linea dal palco. Si va da Minniti alla Madia, dalla Fedeli alla Pinotti fino al sempiterno poco convinto Franceschini. Lo dimostra, ovviamente, la presenza – in teoria silente, in pratica eloquente – di Paolo Gentiloni. Arriva al Lingotto e subito twitta, ascolta Renzi e applaude convinto, alla fine sale pure sul palco, sorride e l’ex inquilino di casa sua (palazzo Chigi) gli dice «Benvenuto a casa tua, Paolo», intendendo per ‘casa’ il Pd.
Insomma, alla fine della tre giorni di un Lingotto ereditato da un Walter Veltroni a lungo bistrattato ma che ora tutti rimpiangono, Renzi riesce a far passare il risultato, nient’affatto scontato che la narrazione del Pd sta per passare dall’Io (il suo, ipertrofico) al Noi (il partito, la comunità, il popolo, etc). Ed è riuscito pure a far vedere che esiste una nuova generazione di dirigenti democrat che s’è messa al suo fianco (Martina, certo, il numero due, poi gli emiliani, i piemontesi, etc.), nella battaglia congressuale all’ultimo sangue che sta per aprirsi. Nel suo discorso Renzi non offre mai spunti eclatanti: attacca, senza mai nominarli, Massimo D’Alema («la Xylella dell’Ulivo che lo ha distrutto») e «l’amarcord da macchietta» degli scissionisti, quelli “pugno chiuso e bandiera rossa” (Bersani), fa la lezione sul che cosa vuol dire essere di sinistra (elogio in simultanea a Marchionne e al prete del Cottolengo, don Andrea) e definisce il Pd «una forza tranquilla» che mira al bene del Paese. La definizione, ripresa da Leon Blum, è di Mitterrand, colui che distrusse la sinistra comunista in Francia facendo vincere il Psf e rendendolo egemone.
RENZI, di alleanze, a sinistra o destra, per ora non si cura, punta a un partito ‘pigliatutto’ e dice che «la nostra prima alleanza è con i cittadini che credono in noi». E così è al vicesegretario, Lorenzo Guerini, comparso al Lingotto solo l’ultimo giorno, che tocca una frase assai tranchant che riporta i piedi di tutti per terra: «Non sappiamo con quale legge elettorale andremo a votare, ci vorrà tempo per farla, parlare di alleanze è prematuro. Noi ci vogliamo alleare con i 13 milioni di italiani che hanno votato sì al referendum». Frase che è una pietra tombale, almeno per ora, sul tema delle alleanze, quelle a sinistra.

GARANTISMO PER TUTTI. MA LUCA LOTTI RESTA NEL BACKSTAGE IN DISPARTE

«UN GRANDE abbraccio di solidarietà a…». Matteo Renzi, da attore consumato, sospende la frase a mezz’aria mentre sta infiammando la platea del Lingotto su un tema ormai vitale, per il Pd, la ‘giustizia giusta’ come la definirono i Radicali. Tutti si aspettavano che l’ex premier citasse due drammi interni al Pd vissuti da due campani presenti ieri al Lingotto: il giovane militante dem Tommaso Nugnes, figlio di un ex assessore della giunta Iervolino che si uccise in seguito all’eco mediatica di un’inchiesta che coinvolgeva Alfredo Romeo (poi assolto), e il deputato e dirigente dem Stefano Graziano, uscito pulito da accuse gravissime, di collusione con la camorra. Invece Renzi, tra lo stupore della sala, cita solo il sindaco di Roma, Virginia Raggi: è stata indagata – dice – e noi siamo al suo fianco, il garantismo vale per tutti». Boato. La frase a sorpresa sottende una battaglia campale.
«Il Pd – prosegue Renzi – fa alleanze su legalità e giustizia, ma la giustizia giusta c’è chi la confonde col giustizialismo. Ogni cittadino è innocente fino al terzo grado di giudizio!». Renzi quasi urla, la platea si spella le mani, il leader ripete come un mantra la parola abbraccio e il pensiero di tutti corre al caso che aleggia da settimane, sul capo del leader e di tutto il Pd. Quel caso Consip che ha visto babbo Renzi finire triturato in una bolla più mediatica che giudiziaria e l’amico fraterno, il ministro Luca Lotti, che mercoledì si dovrà difendere nell’Aula del Senato dove i pentastellati ne chiederanno le dimissioni.‘LAMPADINA’ (il soprannome di Lotti, ndr) sul palco del Lingotto non è salito per la foto opportunity finale (a onor del vero, neppure alle Leopolde lo faceva: lui è fatto così, schivo), ma alla fine del discorso di Renzi è nel retropalco, cercato da tutti. La processione di solidarietà sa di ‘bacio della pantofola’ e coinvolge parlamentari (le deputate e senatrici Ascani, Morani, De Giorgis, etc.), big di peso (il ministro Franceschini), amici di una vita, prima ancora che compagni di partito (il tesoriere dem Bonifazi).
ABBIGLIAMENTO casual, il ministro dello Sport si schernisce. Il Lingotto? «Bellissimo». Perché è venuto qui solo oggi? «Seri problemi familiari». Il discorso di autodifesa al Senato? «Lo sto preparando, certo!», frasi secche, tirate. Poi, via Twitter, ringrazia «il popolo del Lingotto» ed esce. In attesa di mercoledì.

NB: I due articoli sono stati pubblicati il 13 marzo 2017 a pagina 6 e 7 del Quotidiano Nazionale.