“Pacchetto Pd”. I dem spaccati sul dialogo con i 5Stelle e sul futuro segretario. La radiografia delle posizioni: Renzi e i suoi da una parte, i big e la minoranza dall’altra e il povero Martina nel mezzo…
8 Aprile 2018Pubblico qui di seguito i tre articoli usciti negli ultimi tre giorni, dal 6 all’8 aprile 2018, sul Quotidiano Nazionale e riguardanti lo scontro dentro il Pd sul governo e sul partito. Come sempre, la formula di pubblicazione è arricchita di elementi e scenari
- Renzi smentisce ogni ammorbidimento sulla linea dell’Aventino, ma l’apertura di Di Maio lacera il Pd. Intanto, sono pronti gli schieramenti verso il congresso.
Quando Matteo Renzi legge, di prima mattina, su Repubblica, che Di Maio chiede al Pd di «seppellire l’ascia di guerra», definisce Martina «una persona con cui parlo» (il quale non smentisce), chiede che «il Pd si sieda al tavolo», ma soprattutto legge che lui stesso, Renzi, sarebbe ‘tentato’ dal dialogo con i 5Stelle monta su tutte le furie. La smentita sua, oltre che del suo portavoce, è dura, netta, rotonda: «La politica è ferma al chiacchiericcio, ai retroscena inventati. Ne parleremo all’Assemblea Pd il 21 aprile». Una dichiarazione di guerra e, ovviamente, i tamburi di guerra rullano per tutta la giornata.
Dario Franceschini, quasi a dire, ‘ah la metti così, eh? Ora ti faccio vedere io!’, prende in mano il cellulare e digita questo twett: «Di fronte alle novità politiche di Di Maio serve riflettere e tenere il Pd unito nella risposta. Fermiamoci e ricominciamo». Chi conosce Franceschini sa che queste cose le pensa da un mese, da quando voleva dialogare con i 5Stelle sulle presidenze delle Camere, ma ora è lui stesso a metterci il timbro ufficiale.
Andrea Orlando e Gianni Cuperlo, capofila dell’opposizione interna a Renzi e nuovi ‘colonnelli’ di Franceschini nell’operazione “eleggiamo Martina segretario così ci liberiamo per sempre di Renzi, poi ‘chissene’ se stiamo all’opposizione o al governo”, ci mettono un po’ più di tempo a sintonizzarsi. Orlando dice che «Le parole di Di Maio non sono fatti nuovi», Cuperlo che «Di Maio manca di indicazione politica strategica». Poi, ci pensano un po’ meglio su e ‘aprono’ anche loro al dialogo coi 5Stelle. Orlando, riferendosi a Franceschini, auspica che «riflettere è sempre utile, magari per arrivare alle stesse conclusioni». Cuperlo spiega: «Se Di Maio ci chiede un’incontro bisogna andarci». Peraltro, Cuperlo e Orlando sono reduci da un’assemblea, “Sinistra anno zero”, organizzata da un gruppo di democrat molto meridionali e molto di sinistra. L’organizzatore, Peppe Provenzano, dice, papale papale, che «questa (quella di Renzi, ndr) è la peggiore classe dirigente di sempre non per le sconfitte, ma per non averci lasciato nulla da cui ripartire». Fioccano gli applausi, ma il segretario Martina, a sua volta presente, non si turba per nulla, anzi. Martina continua a predicare «unità e collegialità», sostiene che «la linea del Pd è chiara» (sic) e che «non cambia» (ri-sic), definisce le aperture di Di Maio al Pd «ambigue», ma sottolinea che «la sua autocritica sul Pd è apprezzabile». Insomma, ‘Di Maio prima o poi bisognerà pur incontrarlo, che diamine’, il concetto. Poi, Martina va anche all’iniziativa ‘Harambeé’ (Spingete!) con cui Matteo Richetti, un renziano ‘anomalo’, lancia, davanti a molti renziani ‘ortodossi’ (Morani, Malpezzi, Ermini; etc.) la sua candidatura a segretario. Il guaio è che Richetti vuole le primarie, ma non è detto che ci saranno. Si deciderà in Assemblea il 21 aprile, ma il fronte renziano è sempre più determinato: obiettivo, disarcionare Martina. Poi, se l’operazione verrà portata a termine candidando un nome alternativo all’attuale segretario in Assemblea nazionale (i renziani, usciti vittoriosi dal congresso del 2017 con il 70% dei voti e dei delegati, quindi 700, anche al netto delle truppe di Franceschini e Martina, continuano a controllare 640-650 delegati, ben oltre la maggioranza assoluta che è di 501 delegati su 1000), nome che sarebbe con grande probabilità Guerini (il quale però recalcitra) o impedendo, con un ordine del giorno preclusivo, che si voti in Assemblea per portare il partito alle primarie, eventualmente da tenersi in ottobre, con un ‘congresso vero’ (in quel caso il candidato sarebbe Delrio, il quale però non vuole), una sola cosa è sicura: i renziani vogliono che quella di Martina sia la segreteria più breve nella storia del Pd. Dal 4 marzo al 21 aprile, Martina avrebbe regnato un mese. Certo è che le squadre in campo sono già chiare: Renzi e i renziani (tranne Richetti, che si candida per conto suo, come forse farà pure la Serracchiani, in un’altra corsa solitaria) con Delrio o chi per lui, Franceschini, Orlando e Cuperlo (più, forse, anche Gentiloni) con Martina, a meno che non scenda in campo Zingaretti che unirebbe tutta la sinistra dem, Emiliano con un candidato suo, autonomo e dialogante con i 5Stella (Francesco Boccia).
Intanto, però, anche sul fronte del governo, e delle suadenti lusinghe dei 5Stelle, i renziani si muovono seguendo il noto stile del ‘e ora scatenate l’inferno’. Complice la marea di commenti negativi che il ministro della Cultura colleziona su Twitter, Michele Anzaldi infierisce su Franceschini: «Gli elettori del Pd ti hanno risposto». Il capogruppo al Senato, Andrea Marcucci, la tocca piano: «Gli appelli di Di Maio sono patetici e imbarazzanti». Il vicepresidente della Camera, Ettore Rosato, assicura: «Restiamo all’opposizione». Il presidente del partito Orfini assicura “siamo alternativi”. Maria Elena Boschi suggella la linea: «Lega e M5S si sono spartiti le poltrone, ora governino». Solo Lorenzo Guerini chiede, pacatamente, dice a Franceschini che «queste discussioni vengano fatte negli organismi dirigenti». E proprio martedì si riuniranno i gruppi parlamentari dem: sarà lì che voleranno gli stracci. Sul governo e sul partito.
Nb: L’articolo è stato pubblicato a pagina 8 del Quotidiano Nazionale l’8 aprile 2018.
2. I renziani vogliono il ‘congresso subito’ per disarcionare Martina. Renzi frena, ma il partito è in ebollizione. Le minoranze attaccano Renzi, Martina si smarca.
Ettore Maria Colombo – ROMA
La questione governo o opposizione spacca ancora il Pd. La minoranza di Orlando (ogni giorno più irato: ieri ha litigato, via Twitter, con Calenda, Anzaldi e un utente sconosciuto) e Cuperlo è sul piede di guerra: chiede “ma Renzi non si era dimesso?” (Orlando) o lo sfida a “ritirare le sue dimissioni” (Cuperlo). Un guanto di sfida che significa: la longa manus che trama e controlla ancora tutto è lui, l’ex leader, urge smascherarlo. Franceschini e, a maggior ragione, Gentiloni, restano silenti ma molto preoccupati della nuova spaccatura interna, pronti – se messi alle strette – a contrapporsi duramente a Renzi (sì, anche Gentiloni, magari con il supporto dei due padri nobili Prodi e Veltroni) e a votare per Martina, in Assemblea, contro Renzi, ma i numeri non sono dalla loro parte.
E Renzi? Il padre del renzismo frena i pasdaran (“Invito tutti alla calma, bisogna abbassare i toni, non è il momento delle divisioni”, spiega ai suoi), fa esercitare il solito Guerini nel nobile e antico mestiere del pompiere (“Diamoci una calmata, abbiamo davanti scelte importanti”). Appello subito raccolto da Matteo Orfini (“Basta polemiche”), ma anche, ovviamente, dal vaso di coccio tra i vasi di ferro della contesa, il segretario Maurizio Martina. Il quale chiede, auspica, e quasi implora, “di fermare le discussioni e le polemiche” perché “al Pd non servono le conte interne”, ma poi lancia il suo guanto di sfida (“chiedo unità e offro collegialità”) nella speranza (vana) che qualcuno lo segua.
Solo che quando Renzi fa sapere che “Non farò uscite pubbliche fino al 21 aprile, quando parlerò in Assemblea”, tutti tornano in agitazione. “Lì faremo volare i nostri siluri”, si fregano le mani i suoi colonnelli, pronti alla pugna. In verità, però, è lo stesso fronte renziano a essere diviso. Infatti, le strade che Renzi e i suoi possono seguire sono tre. La prima è quella di eleggere, in Assemblea, segretario Martina ma in modalità ‘re Travicello’, cioè lasciandolo lì fino alle Europee (giugno 2019), non oltre (la scadenza naturale sarebbe il 2020: davvero troppi anni per chiunque, infatti al scadenza del 2019 anche ad Orlando andrebbe bene), ma con intorno tanti renziani a fargli da guardia: Renzi, che propende per questa soluzione, ‘non conflittuale’, lo controllerebbe con un vicesegretario di peso (Luca Lotti), mantenendo la maggioranza nei gruppi e nel partito perché, senza congresso, i numeri li ha in mano lui. La seconda strada è di chiedere e ottenere, da un Assemblea che i renziani controllano largamente (rispetto ai 740 delegati su mille eletti al congresso in quota Renzi, anche tolti quelli di Martina, Orlando e Franceschini, Renzi può contare su almeno 620 delegati sicuri), il congresso straordinario. La richiesta andrebbe fatta prima che inizi l’assemblea, cioè prima del 21 aprile, e una mozione presentata con questo ordine del giorno sarebbe preclusiva della discussione e della votazione su uno o più nomi per la segreteria dentro l’Assemblea. Male che vada, i renziani farebbero mancare il numero legale (501) all’assemblea per impedire che Martina, forzando la mano alla presidenza, chieda comunque il voto. Il congresso straordinario si terrebbe, in ogni caso, non prima di ottobre (la macchina per far partire le primarie è lunga, passa prima attraverso le candidature e i congressi di circolo, solo alla fine del percorso si arriva alle primarie aperte) e i rischi sono tanti, tra cui quello di trovarsi a doversi cimentare con le elezioni anticipate mentre si il Pd si spacca in un congresso. Non sarebbe un bello spettacolo. Inoltre, ai renziani allo stato manca, ma servirebbe, una candidatura forte, renziana primigenia, ma dallo spessore e dalla caratura autonoma: il solo nome spendibile è quello di Graziano Delrio, che però non si vuole candidare, ma che è anche il più convinto della strada del congresso, “non contro Martina”, ma “perché ci dobbiamo far restituire speranza e fiducia direttamente dal nostro popolo”. L’altra motivazione, assai meno nobile, di altri renziani è questa: “Perché dovremmo lasciare a Martina, che non ha autorevolezza, va ai convegni di Orlando o di Leu, e vale il 5% del Pd, le chiavi del partito, anche solo per un anno?”. E, infine, questa: “Con Martina segretario le liste per nuove elezioni anticipate le fa lui, con il congresso indetto le liste le fa Orfini, di cui ci fidiamo, a differenza di Martina…”.
Infine, la terza strada: andare allo scontro con Martina dentro l’Assemblea nazionale, contrapponendo al segretario, che si è già auto-candidato per la carica, il nome di un renziano doc. In questo caso, tutti i colonnelli di Renzi vorrebbero Lorenzo Guerini, che sicuramente vincerebbe la conta, grazie ai numeri, ma lui ha già detto no, ‘non voglio’. La decisione finale sarà presa a giorni, forse già entro l’assemblea dei gruppi parlamentari del Pd, convocata per martedì 10 aprile, di certo entro la prossima settimana. Ma – spiega uno dei ‘magnifici otto’ (Renzi, Guerini, Marcucci, Delrio, Bonifazi, Lotti, Boschi, Rosato e Orfini, in spirito) che hanno partecipato alla riunione, in teoria segreta, dell’altro giorno a via Veneto – “Renzi continua a frenare, dubbioso, tutti gli altri vogliono il congresso”.
Nb: L’articolo è pubblicato a pagina 8 del Quotidiano Nazionale il 7 aprile 2018.
3. Il Pd rifiuta l’invito di Di Maio, ma i renziani si scatenano: “Basta Martina. Vogliamo un congresso vero e le primarie”. Renzi invita alla calma ma è scontro.
Ettore Maria Colombo – ROMA
Il Pd non è per nulla tentato di andare “a vedere”, come si direbbe seduti a un tavolo di poker, l’offerta di dialogo (e di incontro) dei 5Stelle. Eppure, ieri, uscendo dal Quirinale, il leader pentastellato Di Maio ha formalizzato la richiesta di un incontro “sui programmi” sia al Pd che alla Lega. Con un’aggiunta tattica non di poco conto, Di Maio, ha specificato di “non voler spaccare il Pd” e di “non volersi scegliere gli interlocutori dentro quel partito”. La traduzione è: io voglio parlare con il Pd, Renzi o non Renzi, tanto che, da parte dei 5Stelle, iniziano a fioccare le telefonate anche verso i renziani, ormai, non solo verso Martina per cercare di convincerli delle loro ‘buone intenzioni’ nella proposta. Ma la mossa tattica è servita a poco. “Il Pd – spiegano fonti parlamentari dem – dirà di no sia a un incontro con Di Maio sia con Salvini. Le consultazioni le facciamo al Quirinale”. Eppure, il segretario Martina sarebbe stato tentato di ‘andare a vedere’ le carte di Di Maio, almeno a caldo, e infatti non pubblica un comunicato ufficiale di diniego dell’incontro, si limita a far sapere ai giornali che ‘non credo che incontrerò Di Maio’. Anche Delrio avrebbe espresso qualche timida apertura, verso il canale 5Stelle, mentre da parte di Orfini e Marcucci il no a Di Maio sarebbe stato nettissimo. Invece, altri big dem (Franceschini, Orlando, Fassino), come Martina, sarebbero tentati di dialogare con i 5Stelle. Anche da palazzo Chigi si sostiene che “non si può dire di no a un incontro chiesto da un leader per fare un governo”. Invece, dal canto suo, il Colle non esprime alcun giudizio sulle scelte dei singoli partiti di vedere o non vedere altri partiti: se il Pd incontra o no Di Maio non è un problema di Mattarella. E al Colle si era recata, di prima mattina, la delegazione dem composta da Martina, Matteo Orfini e dai due capigruppo di Camera e Senato, Marcucci e Delrio. Martina è stato netto: “Il Pd vigilerà all’opposizione”.
Ma la giornata è stata caratterizzata anche da una riunione del fronte renziano che, alla presenza dell’ex leader, si sono incontrati in un posto singolare, lo studio della società del capogruppo al Senato, Marcucci, che ha sede in via Veneto. Presente la creme del renzismo (Boschi, Lotti, Bonifazi, Guerini, Rosato), ma anche renziani non ortodossi, come Delrio, la discussione dei ‘magnifici sette’ di Renzi è stata centrata tutta sull’Assemblea nazionale. prossima ventura, quella del 21 aprile, e sul futuro del Pd. Candidare un nome alternativo a Martina o convergere su di lui ottenendo piene garanzie sulla segreteria e i ruoli chiave del partito è stato, in buona sostanza, il busillis. Per i pontieri (Guerini) la linea è “Martina ci offre piene garanzie, fidiamoci”. Per i pasdaran (Boschi, Lotti, Bonifazi, Marcucci) bisogna, invece, operare un colpo di mano (o di genio). Infine, da notare la posizione insolitamente dura di Delrio: “Dobbiamo andare a un congresso vero, il nostro popolo ce lo chiede, ci dobbiamo riconnettere a esso”. Delrio sostiene di non dirlo in funzione anti-Martina, ma il candidato di Renzi è lui, quindi il dubbio viene eccome. Si tratta, in ogni caso, per i renziani, di muoversi e agire prima del 21 aprile. Infatti, per evitare la rielezione di Martina (che a quel punto sarebbe appoggiato dall’area Franceschini, da quella Orlando e dalla sua e poco più, ma resta da vedere con chi si schiererà Gentiloni), i renziani dovrebbero presentare un ordine del giorno per chiedere di non votare il segretario in assemblea ma di indire le primarie. La presentazione dei candidati in assemblea dovrebbe aspettare, per essere formalizzata, questa votazione e se vincesse il partito del “congresso subito”, cioè le primarie, l’assemblea si chiuderebbe così, senza altre votazioni e le candidature sarebbero precluse al voto in assemblea, si tratterebbe di iniziare a raccogliere le firme per quelle alle primarie, dove già si stagliano, all’orizzonte, due candidature: quella del governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, che potrebbe puntare a una ricomposizione della sinistra con Leu e a una sostanziale riedizione dei Ds, e quella del renziano atipico Matteo Richetti, che vuole sganciarsi da Renzi ma ripercorrerne le orme senza però esserlo. In ogni caso, con il percorso congressuale aperto niente più segretaria Martina: lo Statuto prevede la reggenza del presidente del partito (Orfini) e l’insediamento di una commissione congressuale con dentro tutte le componenti, anche di minoranza, quindi dall’alto profilo collegiale. In caso di elezioni anticipate, sarebbe questo organo a comporre le liste (se invece venisse eletto Martina sarebbe, ovviamente, il segretario). Particolare non trascurabile, Renzi controlla ben più della metà (640 circa in luogo degli iniziali 700) dei componenti dell’assemblea (mille delegati). Renzi, ai suoi pasdaran, ha chiesto “calma e gesso”, ma la linea del ‘congresso subito’, ad oggi, è quella più gettonata.
NB: L’articolo è pubblicato il 6 aprile 2018 a pagina 6 del Quotidiano Nazionale.
L’ha ribloggato su Alessandria today.